Lunedì nero per gli italiani che tra Imu, Tasi, ed altre tasse per le imprese, dovranno versare all’Erario oltre 10 miliardi di euro.

Le stime sono diffuse dalla Cgia di Mestre e tengono presente l’andamento degli anni passati sugli importi dovuti a titolo di prima e seconda rata di Tasi ed Imu. Paolo Zebeo, tuttavia, avverte che prima della fine dell’anno, saranno le imprese italiane a dover pagare di più:

“Gli imprenditori, dovranno versare le ritenute Irpef e i contributi previdenziali dei propri dipendenti e dei collaboratori – continua – coloro che sono tenuti al pagamento su base mensile dell’Iva dovranno corrispondere all’erario l’imposta riferita al mese di novembre. Se si considera che entro Natale bisognerà erogare anche le tredicesime, per moltissime imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, non sarà facile disporre della liquidità necessaria per onorare tutte queste scadenze”.

È vero che grazie alla Legge di Stabilità 2016, che ha introdotto il blocco degli aumenti, le imposte locali non sono aumentate (ad eccezione della Tari), e che ormai da due anni la Tasi sulle abitazioni principali non di lusso e l’Imu sugli imbullonati e sugli immobili a uso agricolo sono state abolite, ma questo non basta per far tirare un respiro di sollievo agli italiani. La pressione fiscale in Italia rimane tra le più alte al mondo.

“In linea puramente teorica – chiarisce Paolo Zabeo – nel 2017 ogni italiano verserà mediamente 8mila euro di imposte e tasse all’erario, somma che si alzerà fino a sfiorare i 12mila euro se si considera anche il pagamento dei contributi previdenziali. E la serie storica indica che negli ultimi 20 anni le entrate tributarie dello Stato sono aumentate di oltre 80 punti percentuali, quasi il doppio dell’inflazione che, nello stesso periodo, è salita del 41 per cento”.

Su questa realtà, secondo lo studio condotto dalla Cgia di Mestre, molto incide anche la cosiddetta “economia sommersa”, che sottrae alle casse dello Stato circa 190 miliardi di euro, pari all’11,5% del Pil italiano. E di questi 190 miliardi di euro di valore aggiunto generato dall’economia sommersa, prosegue l’associazione, il 49 per cento circa è ascrivibile a forme di sotto-dichiarazione dei redditi praticate dagli operatori economici (pari a 93,2 miliardi), il 40,6 per cento al lavoro irregolare (che corrisponde a 77,3 miliardi di euro), e il restante 10,4 per cento (19,8 miliardi di euro) ad altre componenti residuali di evasione, come ad esempio gli affitti in nero.

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