In qualcosa l’Italia è la prima al mondo: le tasse. Secondo i dati diffusi da Unimpresa, infatti, la pressione fiscale nel nostro Paese è la più alta dell’intera Eurozona e supera anche quella degli Stati Uniti.

Il peso delle imposte sul prodotto interno lordo è passato da una percentuale del 39% nel 2005 al 43,5% dello scorso anno, un incremento esorbitante che non si è tradotto, come avrebbe dovuto, in un alleggerimento del debito pubblico.

L’insieme di tasse e balzelli vari (alcuni davvero fantasiosi) hanno fatto registrare un aumento degli introiti nelle casse dello Stato, intorno al 47,6% del Pil, ma famiglie ed imprese non hanno riscontrato alcun ritorno in termini di servizi e qualità della vita ed anzi, incomprensibilmente, anche il debito è salito di circa 30 punti percentuali rispetto alla media del 2005, passando dal 101,9% all’attuale 132,7% del Pil.

Negli altri Paesi della zona euro, nonostante la crisi economica in atto e l’incertezza delle sorti della moneta unita, la situazione appare diversa. In Germania il cuneo fiscale si ferma al 39,6% ed il debito pubblico solo al 71,2%. In Gran Bretagna le tasse sono addirittura diminuite, passando in pochi anni dal 35,7% al 34,8%.

Negli Stati Uniti la pressione fiscale è rimasta praticamente invariata, assestandosi intorno al 26% del Pil. Tuttavia, a fronte di un mancato aumento delle tasse ed un cuneo fiscale relativamente contenuto, il debito pubblico risulta essere in salita, dal 66,9% degli anni migliori all’attuale 113,6%.

In Italia il peso di Iva, Irpef e Ires grava sui nuclei familiari e sulle imprese, al punto da non permettere la crescita dei consumi e degli investimenti. La paradossale situazione per cui più paghi, meno ricevi dallo Stato è un controsenso tutto italiano, ereditato da anni di malgoverno che hanno reso lo strano rapporto uno status irreversibile.

Se il debito pubblico continua a salire, tanto varrebbe ridurre le tasse, abbattere la burocrazia – il nostro “muro del pianto” – e dare respiro ai cittadini, che aumentato il potere d’acquisto, rimetterebbero in circuito il necessario per far ripartire l’economia.

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