“Reddito di cittadinanza? Mai in Veneto”. E’ una Elena Donazzan di modello svizzero quella che ieri, al meeting di Rimini, ha sostenuto il concetto ‘A ognuno il suo lavoro’.  Se ognuno ha il suo lavoro in effetti, il reddito di cittadinanza non ha senso di esistere. E’ lo stesso concetto che ha portato i cittadini della Confederazione Elvetica a votare ‘no’ al referendum con il quale si chiedeva loro di esprimersi a favore o contro quella somma minima di danaro da garantire ad ogni cittadino per avere una mano in caso di necessità. Una cifra che, una volta garantita dall’assistenza pubblica, in molti pensano pericolosa, perché rischierebbe di creare l’effetto ‘chissenefrega del lavoro, tanto campo lo stesso e mi godo la vita sulle spalle dell’Inps (o chi per esso)’. E per spiegare che il Veneto rifiuta l’assistenzialismo a ogni costo, l’assessore alla Formazione ha detto: “L’assistenza non fa parte della cultura veneta. Siamo abituati a rimboccarci le maniche. La politica deve pensare a creare opportunità di lavoro, insomma, a dare risposte vere e concrete”.

Apriti cielo. Perché se questo è il Lega-pensiero, di tutt’altro avviso è il Movimento 5 Stelle.

Jacopo Berti, consigliere regionale, che ha voluto spiegare che per i pentastellati il reddito di cittadinanza non è ‘assistenzialismo puro’, ma l’espressione di una politica attiva del lavoro che dà a tutti la possibilità di reinserirsi nel circuito lavorativo.

In sintesi, un reddito di cittadinanza che non fa altro che riproporre le normali regole della disoccupazione da anni in vigore nei paesi scandinavi o in Svizzera. Regole totalmente diverse dalla disoccupazione italiana, che garantisce una somma mensile senza chiedere obblighi di impegno o di presenza in cambio.

“Quelle del reddito di cittadinanza sono somme mirate a tirar fuori dalla soglia di povertà le famiglie e i singoli che vi si trovano – ha spiegato Berti – Per esempio: 1 persona ha diritto a percepire un reddito di 780 euro, un nucleo familiare composto da 3 persone avrà diritto a percepire un minimo di 1.248 euro ed un massimo di 1.560 euro. Non sono cifre che arricchiscono, ma sono somme che ci permetteranno di non vedere più cittadini veneti che rovistano nella spazzatura. Queste scene sarebbero barbarie di un passato da dimenticare. La povertà sarebbe illegale, sparita, sconfitta. Il reddito di cittadinanza come lo intende il Movimento 5 Stelle – ha continuato il consigliere regionale – ha obblighi precisi collegati alla continua formazione e ricerca del lavoro che, se non rispettati, fanno perdere il diritto al reddito. Per beneficiare del reddito di cittadinanza il soggetto deve svolgere una formazione mirata fornita dai centri per l’impiego e deve partecipare ai colloqui di lavoro procurati. Se il soggetto rifiuta nell’arco di tempo riferito al periodo di disoccupazione più di tre proposte di impiego, perde il diritto al reddito di cittadinanza. Nel frattempo, deve visitare regolarmente il centro per l’impiego, dando le prove della sua attività di ricerca lavoro. Deve inoltre partecipare a progetti organizzati dal comune, fornendo così un piccolo contributo a favore della collettività. Inoltre, il reddito di cittadinanza prevede anche incentivi e benefici per le aziende, i lavoratori e per creare impresa”.

Lavoro e impegno prima di tutto anche per i 5 Stelle quindi.

“Il Veneto che vogliamo è una terra dove chiunque, dotato di determinazione e voglia di lavorare ce la possa fare – ha spiegato Jacopo Berti – Dove la politica non è un giocatore in campo, ma solo l’arbitro che lascia i cittadini liberi di giocarsela”.

Anna Bianchini

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