In Veneto non c’è un accordo integrativo regionale (il cosiddetto ‘Air’) che definisca il ruolo unico per la medicina generale. E quindi “il medico che dovrebbe scegliere questo lavoro, dopo tre anni di preparazione e un diploma, in realtà non sa cosa farà, né dove lo farà, per le quote orarie (da 38 a sei ore settimanali), né tantomeno quanto queste ore saranno retribuite. Si accetterebbe un lavoro con queste premesse?”. Lo chiede Liliana Lora, segretaria dello Smi del Veneto, intervenendo così sulle mancate accettazioni delle zone carenti per la medicina generale in regione. Da gennaio 2024 il Sindacato medici italiani chiede di definire l”Air’ per concordare questi elementi “e togliere dall’incertezza chi sceglie di fare il medico di medicina generale”. Ma “solo da 15 giorni, dopo continue richieste, abbiamo iniziato ad essere convocati per le trattative. Non sembra che sia un po’ tardi per una riforma così importante che deve essere realizzata entro fine anno-inizio 2026?”, domanda ancora Lora. Che si chiede quindi se la direzione regionale fosse “‘presa’ da altre questioni o non ritenesse prioritario dire a dei professionisti cosa si aspettava e cosa era disponibile a investire per l’assistenza territoriale ai suoi cittadini? Sorge il dubbio che forse non voleva dichiarare come voleva finanziare tutto ciò”.
Intanto però il problema resta e si complica per il fatto che “i pensionamenti non sono coperti da giovani medici perché il sistema formativo, quello delle borse di studio non assicura il ricambio generazionale nella professione medica in tempi certi”.
Per queste ragioni lo Smi, a livello nazionale, reclama con l’istituzione di una scuola di specializzazione per i medici di medicina generale che faccia superare la drammatica carenza di nuovi medici di famiglia.
” Ad oggi, circa il 70% dei medici di famiglia deve sborsare dai 300 ai 400 euro mensili di tasca sua per garantire personale di accoglienza ai pazienti. Tutte le spese di affitto e utenze (gas, luce, acqua, telefonia e linee internet, pulizie carta toner stampanti) sono a carico del singolo medico che ad ora non sa quale sarà il suo reale stipendio. A fronte di un impegno certo nel quantum, ma non definito nei modi, non è presente una auto organizzazione come caratteristica del contratto in convenzione, quello dei medici di famiglia, e per contro non sono previste tutele (malattia, ferie, maternità, distacchi per cure parentali). I medici di medicina generale non sono dipendenti ma devono rispettare degli obblighi senza poter usufruire di tutele: oggi chi sceglierebbe un lavoro con queste caratteristiche?”.
“Situazione tra le più critiche d’Italia”
Mancano oltre 5.500 medici di medicina generale in Italia e sempre più cittadini faticano a trovarne uno anche in Veneto. A fronte di migliaia di pensionamenti, il numero di giovani medici che scelgono questa professione continua a diminuire, mentre la popolazione italiana è sempre più anziana e malata. L’allarme è stato lanciato da Fondazione Gimbe, che ha analizzato dinamiche e criticità normative che regolano l’inserimento dei medici di base nel sistema sanitario nazionale, stimando l’entità della loro carenza nelle regioni italiane. «L’allarme sulla carenza dei medici di medicina generale – ha commentato Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe – riguarda ormai tutte le regioni e affonda le radici in una programmazione inadeguata, che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Negli ultimi anni poi la professione ha perso sempre più attrattività, rendendo oggi spesso difficile per i cittadini trovare un medico di medicina generale vicino a casa, con conseguenti disagi e rischi per la salute, soprattutto per anziani e persone fragili».