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Un boato, la neve in bocca, il silenzio. Bellò: “Torneremo per la famiglia di Imtiaz”

Un fortissimo crac improvviso, un attimo di incertezza, la neve che travolge ed entra nel naso e nella bocca, le capriole, il freddo, le botte e infine il silenzio.

Tarcisio Bellò, il caltranese Tino Toldo, Luca Morellato e David Bergamin si sono resi conto di essere ancora vivi solo quando hanno visto l’azzurro del cielo pakistano sopra le loro teste, ancora fortunatamente legate ai caschi da alpinisti.

Insieme a loro Nadeema e Shakeela e poi Imtiaz, che purtroppo ha perso il casco durante la caduta e per lui non c’è stato scampo.

La voce degli alpinisti veneti al telefono è sicura e traspare la gioia di chi si rende conto di esserci per miracolo, perché la natura è stata generosa e dopo giri di centrifuga in mezzo alla neve li ha fatti riemergere tutti sopra la valanga.

“Stiamo bene – dicono in coro al telefono – un po’ ammaccati e rotti, ma vivi e abbiamo voglia di tronare a casa e di portare a termine la nostra missione qui, che come primo obiettivo ha garantire sostegno alla famiglia di Imtiaz”.

Dall’ospedale di Gilgit però non arriva il nulla osta per uscire, c’è solo attenzione per dare ai veneti le cure di cui hanno bisogno.

“E si mangia speziatissimo – ha aggiunto ridendo Bellò, altro che le pietanze che ci preparavano al campo prima della scalata finale”.

Che cosa sia successo in quel momento, ancora non lo sanno spiegare, nonostante gli anni di esperienza in quota.

“E’ stata una valanga strana, con il distacco di seraccate di ghiaccio – ha spiegato Bellò – Prima c’era un pendio, all’improvviso si è trasformato in un muro. Eravamo partiti alle 4 e alle 10.30, poco prima di arrivare sulla vetta, un ‘crac’ assordante. Stavamo facendo tiri di cordata, poi siamo stati travolti”.

Il 57enne Bellò, capospedizione e primo di cordata, trascinato verso il basso.

“Stavo facendo sicura a Tarcisio – ha detto David Bergamin – Ho sentito un rumore forte e Tino che mi ha gridato di tenere la corda. Non ce l’ho fatta e sono stato trasportato in basso. Avevo neve che mi entrava dappertutto. Mentre cadevo cercavo di galleggiare, di restare all’esterno”.

Luca Morellato era l’ultimo dei 7 in cordata. “Ho sentito un crac e poi tutti hanno gridato – ha raccontato – Continuavo a girare dentro la valanga. Alla fine, non so come, nonostante fossimo tutti legati ci siamo ritrovati sopra la valanga”.

Doloranti sono riusciti a tornare al campo base, solo Shakeela, sorella di Imtiaz, è voluta rimanere a fianco del fratello morto fino al giorno dopo, quando sono arrivati i soccorritori. “L’abbiamo coperta con tutto quello che potevamo e con un telo termico e domani i soccorritori andranno anche a recuperare il corpo di Imtiaz”.

Ora gli alpinisti sperano di tornare a casa al più presto, “ma abbiamo l’obbligo morale di tornare qui e di portare a termine i nostri progetti”, ha spiegato Tarcisio Bellò.

Il Centro Alpinistico Cristina castagna in primis, nel voillaggio di Gothulti, che ora si stringe attorno ai 4 ragazzi veneti e cerca di dare loro il sostegno di cui hanno bisogno per riprendersi del tutto.

“I pakistani sono meravigliosi – ha spiegato Bellò – Si stanno facendo in quattro per noi. Ma il pensiero principale va sempre alla famiglia di Imtiaz, che ora è rimasta senza sostegno economico. Per loro dobbiamo riprenderci e portare a termine i progetti qui. E’ paradossale che proprio noi che volevamo aprire un centro per insegnare tecniche e sicurezza in montagna siamo stati travolti da una valanga – ha continuato – ma questo non ci fermerà. La gente qui ha moltissimo cuore e non possiamo chiuderla qui. Appena uscito dalla valanga ho temuto di non poter più fare nulla, invece ora mi rendo conto che non voglio buttare 10 anni di lavoro a questo progetto – ha concluso Bellò – C’è un impegno morale che ci obbliga a tornare”.

Anna Bianchini

 

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