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Luca Valente, da giornalista a scrittore passando per la passione per la storia

Di Luca Valente abbiamo sentito parlare spesso, negli ultimi mesi: tra serate letterarie, partecipazione a concorsi e il booktrailer che ha realizzato per il suo ultimo romanzo, il trentanovenne scrittore di Schio ha trovato un certo spazio sui media, locali e non.

La sua carriera sembra dunque sul punto di fare un definitivo salto di qualità, non a caso – probabilmente – da quando ha deciso di dedicarsi alla narrativa. Ma Luca Valente non è solo l’autore di un thriller di successo, Indagine 40814, uscito lo scorso autunno per Attilio Fraccaro Editore e ormai giunto alla terza edizione: alle sue spalle ci sono un decennio e oltre di attività giornalistica e di ricerche storiche e molteplici interessi, qualcuno molto particolare. Ma soprattutto ci troviamo di fronte a una persona che mette una sincera passione in ciò che fa e che è lontana dallo stereotipo dello scrittore autocompiaciuto della propria arte.

Luca, è questo il segreto del tuo successo?

(ride) «Non lo so, davvero. Il successo dipende da molti fattori, alcuni controllabili e altri no. Indubbiamente la mia “svolta” letteraria è stata accolta con favore dal pubblico, e la passione ha avuto un ruolo fondamentale nel propormi come scrittore. Anche con un pizzico di umiltà, certo. D’altronde è da poco che scrivo di finzione e non mi sento assolutamente arrivato, anzi: ogni giorno cerco di migliorare me stesso e il modo di comunicare ed esprimere le mie idee attraverso la parola. C’è sempre da imparare, fino a ieri mi occupavo di tutt’altro».

Ecco, appunto: ti stai facendo un nome come romanziere, ma nel tuo passato c’è una lunga esperienza giornalistica. Come hai cominciato e perché hai smesso?

«Ho iniziato poco dopo essermi laureato, nella primavera del 1999, al Giornale di Vicenza, e anche se nel corso degli anni ho coltivato molteplici forme di collaborazione con la carta stampata, è lì che si è svolta la gran parte della mia esperienza giornalistica, per un periodo anche come redattore. Ho seguito un po’ di tutto, dagli spettacoli allo sport, ma soprattutto cronaca bianca – raramente la nera – ed eventi culturali. Fare il giornalista è un bellissimo mestiere, all’inizio mi entusiasmava, ma poi poco a poco gli stimoli si sono affievoliti e infine esauriti: la difficoltà di non potermi dedicare a tempo pieno all’informazione, dato che intanto portavo avanti anche la ricerca storica, e soprattutto il dover fare i conti con alcune logiche che non mi appartengono, mi hanno spinto a lasciare un paio d’anni fa. Senza alcun rimpianto».

Hai parlato di ricerca storica, un altro capitolo importante della tua vita. Da cosa nasce un interesse così forte per gli avvenimenti del passato?

«L’amore per la storia l’ho avuto fin da bambino e credo sia una cosa innata, non c’è stato alcun condizionamento ambientale o famigliare. Avevo sei anni quando presi in mano e mi lessi l’intera enciclopedia della seconda guerra mondiale di mio padre, lasciando esterrefatti i miei genitori. Ma fu solo l’inizio, perché poi a scuola in ogni tema libero scrivevo di guerra, divoravo qualsiasi libro sull’argomento mi capitasse sotto mano, non mi perdevo un film d’ambientazione bellica. All’università ho studiato storia, naturalmente, concludendola con una tesi sull’occupazione tedesca nell’area di Schio, che poi è stata la mia prima pubblicazione, divisa in tre volumi. Lì ho capito che fare ricerca, nonostante il grande impegno richiesto, è estremamente affascinante, e ho proseguito con vari altri saggi, di interesse locale ma non solo».

Un bilancio della tua produzione storica? Hai firmato, ricordiamolo, una quindicina di pubblicazioni tra il 1999 e il 2011…

«Molto positivo, credo, e per me senza dubbio gratificante. Ho focalizzato le mie ricerche sul biennio 1943-45, soprattutto attraverso lo studio delle fonti tedesche, in gran parte inesplorate, portando alla luce fatti nuovi di quel periodo. Ne sono uscite storie anche sorprendenti legate al territorio vicentino: penso al memoriale del maggiore dei paracadutisti Otto Laun, all’incredibile vicenda della cattura della “missione giapponese”, ai soldati in divisa tedesca che venivano dalla lontana India o alle SS archeologiche, solo per citare qualche episodio. In alcuni casi, come per la storia militare degli ultimi giorni di guerra, importanti studiosi mi hanno elogiato per aver colmato un “buco” nella storiografia nazionale. E poi c’è tutto un lavoro correlato che mi ha visto consulente in documentari filmati e organizzare o prendere parte a mostre, convegni e attività formative».

Pure questo, comunque, lo consideri un capitolo chiuso?

«Direi di sì, anche se, a differenza del giornalismo, lascio aperto uno spiraglio, così almeno non deludo del tutto le tante persone che mi hanno seguito come storico e che mi hanno espresso il loro dispiacere di non poter più leggere mie nuove ricerche. Ma appunto, mai dire mai, anche se, dopo tante pubblicazioni, ho avvertito nettamente un po’ di stanchezza e soprattutto la necessità di nuove sfide. Non è estranea, nella mia scelta, anche una sorta di maturazione personale che mi fa oggi considerare il passato, soprattutto quello tragico della guerra, con occhi diversi da come lo vedevo dieci o cinque anni fa».

Ovvero? Spiegaci…

«La storia è utile a ricordarci da dove veniamo, ma si trasforma facilmente in una trappola quando vogliamo per forza giudicarla alla luce della realtà attuale, per giustificare qualcuno o qualcosa o per finalità di parte, ideologiche e politiche. In tal caso alimenta e perpetua rancori e divisioni, avvelenando il presente e gettando le fondamenta di un cattivo futuro. Certe polemiche e l’ottusità di alcune posizioni, francamente, mi hanno nauseato».

La soluzione, allora, qual è?

«Sembrano parole strane dette da uno storico, ma l’unica soluzione, per conto mio, dopo avere fatto tutto il possibile per ricostruire i fatti del passato senza pregiudizi, perseguendo serenamente la verità e ben sapendo che al massimo ci si potrà solo avvicinare, è di mettere tutto da parte e guardare avanti. L’uomo non si rende conto che continuando a usare la storia in un certo modo non fa altro che perpetuare gli stessi errori. Alla fine ci si convince che non c’è rimedio al conflitto, sia esso dettato da motivi di predominio, economici, religiosi o altro ancora. Avremmo invece un mondo migliore, se solo aprissimo un po’ di più i nostri orizzonti. Perché ogni cambiamento, anche collettivo, nasce prima di tutto individualmente. Occorre però svincolarsi dal controllo esercitato da chi detiene il potere sulle nostre menti e coscienze, spesso con la complicità dei media».

Intuisco, in queste tue considerazioni, un aggancio al saggio spirituale che hai pubblicato lo scorso anno, Vite terrene, vita nell’aldilà. Che cos’è questo libro e che rapporto hai con il trascendente?

«Il sovrannaturale è un altro mio grande interesse, nato anch’esso quando ero ancora un bambino. Il volume che hai citato è un saggio spirituale che pone delle riflessioni sul perché siamo qui, sul senso della nostra vita, su cosa succederà dopo la morte, e che ho scritto assieme alla sensitiva Sabrina Dal Molin. Per ciò che è scaturito dal mio incontro con lei, e per tutta una serie di fatti particolari che mi sono personalmente accaduti nel corso della vita, non ho il minimo dubbio che esista ben di più della realtà che possiamo vedere e toccare con mano e che la nuova frontiera della conoscenza sia il potere creatore del pensiero, una forma di energia che ignoriamo. Che la scienza, poi, in questo momento storico non sia in grado di spiegare determinati fenomeni, è semplicemente un suo limite e verrà superato col tempo. D’altronde uno scienziato medievale che ne sapeva di radiazioni solari o fissione nucleare? E se in quel tempo si fosse parlato di trasmettere immagini e suoni via etere, per noi un’ovvietà, non sarebbe stata giudicata una stregoneria meritevole del rogo? Poi, ovviamente, ognuno ha le proprie idee a riguardo».

Argomenti tosti, senz’altro, e che rivelano aspetti di te tutt’altro che scontati. Ma parliamo un po’ della più recente attività di scrittore e di Indagine 40814, il tuo primo romanzo. Perché hai sentito l’esigenza di misurarti con la narrativa?

«Sono state proprio le esperienze che ho vissuto negli ultimi dieci anni a spingermi a sperimentare qualcosa di diverso, a cercare nuovi stimoli nella scrittura. Ne è nato questo libro, un thriller a sfondo storico ambientato nel Vicentino in tre epoche diverse: l’anno 955, in pieno Medioevo, caratterizzato dalle invasioni degli Ungari; il 1944-45, sul finire della 2ª Guerra mondiale, durante l’occupazione tedesca; il 1988 e il 2006, anni in cui agiscono i protagonisti principali del libro, una giornalista e uno storico, impegnati a dare la caccia a un misterioso assassino. Chi fosse interessato può trovare tutte le informazioni relativamente a trama e personaggi sul blog del romanzo – www.lucavalente.it/indagine40814 – e su Facebook, ma già da questi elementi si capisce come vi abbia riversato molto della mia vita passata. C’è anche un pizzico di soprannaturale, che scorre sottotraccia alla narrazione, fino a una conclusione che riserva parecchie sorprese. Insomma, non è solo un romanzo di genere».

Internet e i social network come canale di promozione, una serie lunghissima di serate di presentazione – quasi quaranta nel Vicentino e provincie limitrofe – e recentemente anche il booktrailer: cosa deve fare oggi un autore per farsi conoscere?

«Questo e ancora di più, soprattutto se non ha ancora un nome e non goda dell’appoggio di una grossa casa editrice. Le moderne tecnologie sono essenziali, idem la presenza tra la gente, mentre il booktrailer è stato un qualcosa in più, per certi versi originale, che mi ha consentito di incrementare sensibilmente l’attenzione sul libro. In pratica ho girato un mini-film di tre minuti su Indagine 40814, montato come un trailer cinematografico e visibile su Youtube. Un’esperienza magnifica, condivisa con una cinquantina di persone tra attori, comparse e cast tecnico, ricordo su tutti il videomaker Francesco Sandonà e Alessandro Casula, autore delle musiche. Ora stiamo lavorando a una versione più lunga, di una decina di minuti, vista l’abbondanza di materiale girato, ma molti lettori invocano un film vero e proprio. Chissà…».

Altri progetti per il futuro? Ovviamente tutti si aspettano un nuovo romanzo…

«Molti mi chiedono il seguito di Indagine 40814, ma per ora non ci sarà, mi intriga di più pensare a un’opera tutta nuova. E poi ho già pronti altri due romanzi, in cerca di editore. Uno è fresco di stesura, s’intitola Le cento pozzanghere di piazza dei Crisantemi Gialli e racconta una storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza in un futuro non troppo lontano, il 2025, nel quale ho immaginato un mondo caduto sotto il dominio di una non meglio definita superpotenza dell’Estremo Oriente. L’altro, Un posto migliore, è un romanzo storico ispirato all’avvincente spy-story e alla tragica vicenda umana che avevo descritto nel saggio Il mistero della Missione giapponese, del 2005. È un’opera che è stata in concorso al recente Premio letterario La Giara della Rai, vincendo la selezione regionale per il Veneto e arrivando tra i 60 semifinalisti nazionali. Una bella soddisfazione comunque, eravamo partiti in 1200».

A proposito di premi, anche Indagine 40814 sta partecipando a un importante concorso, giusto?

«Sì, è stato candidato al Premio Internet Cortina d’Ampezzo, che viene assegnato sul web dai lettori. Le votazioni si sono chiuse il 20 agosto e stiamo aspettando, io e tutte le persone che mi hanno preferito agli altri concorrenti, l’esito finale. Ormai dovremmo esserci, perché la cerimonia di premiazione si terrà a fine mese a Cortina. Oltre a questo ho partecipato a un paio di concorsi per racconti, il Premio letterario locale Metti una sera… allo Schio Hotel, nel 2011, che ho vinto, e il Premio letterario nazionale Trichiana Paese del Libro, qualche mese fa, che mi ha visto arrivare tra i dieci finalisti su 220 partecipanti. Del primo racconto sto progettando la realizzazione di un cortometraggio, vista la felice esperienza del booktrailer».

Concludiamo con uno sguardo sulla tua vita privata, se ce lo consenti. Chi è Luca Valente come persona? Come passa il suo tempo libero?

«Di tempo libero non ne ho molto, e lo trascorro in buona parte leggendo e cercando di non trascurare troppo la mia famiglia, mia moglie Ludovica e i nostri due figli, Riccardo e Benedetta, che hanno quasi 6 e 3 anni. Per il resto credo di essere una persona come tante, con i propri pregi e difetti. Amo comunque le cose più vere della vita, quelle che toccano il cuore: le meraviglie della natura, l’amicizia tra le persone, i sorrisi dei bambini. E nutro una grande fiducia nel futuro, nonostante i tempi difficili in cui viviamo. Il destino è nelle nostre mani: ci aspetta un grande avvenire, basta solo volerlo».

di Redazione Thiene on line

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