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Schio. Figli ‘contro’: “Mamma mi voglio vaccinare”. Irene e Gino, pensarla diversamente si può

“Mamma, mi voglio vaccinare. Non dirmi niente, questo è ciò che ho deciso”. Sono queste le parole pronunciate con un filo di voce  da Gino a sua madre proprio qualche settimana fa.

Lei è Irene Ballardin, è separata e da qualche anno vive a Schio con il figlio di 18 anni da compiere a novembre. Fa la cassiera in un supermercato e in molti nell’alto vicentino hanno potuto apprezzare i suoi ‘tik tok’ pieni di buonumore.

E se tra madre e figlio esiste sempre un legame speciale e indissolubile, tra Irene e Gino forse c’è qualche radice in più a unirli a doppio filo in un rapporto sinergico, quasi simbiotico: un amore che fin dai primi mesi di gestazione si è appoggiato ad una speranza che sembrava quasi utopia per poi trasformarsi fortunatamente in un inno alla vita.

“Quando il mio ginecologo mi ha confermato che ero incinta” – racconta con emozione Irene – “le speranze che tutto potesse filare liscio non erano affatto molte. Sono affetta da una malattia ereditaria, il fattore di Leiden, una condizione assai rara che aumenta il rischio di trombosi venosa poiché causa uno stato di ipercoagulabilità del sangue. La variante di questa condizione patologica che di fatto può essere letale per il feto, l’ho scoperta proprio con la gravidanza, un fulmine a ciel sereno che mi ha subito prospettato un cammino fatto di incognite proprio quando invece volevo assaporare quel momento magico”.

Mesi di preoccupazione e di lacrime nel vedere quella pancia che cresceva e per la quale non c’erano però certezze: prima della trentaquattresima settimana infatti il tracollo, il bambino non si alimenta più e bisogna farlo nascere prematuramente con un cesareo d’urgenza.

Gino fortunatamente nasce sanissimo e recupera in fretta, ma per Irene questa nuova esperienza di madre conquistata tra mille complicazioni ha lasciato dei solchi profondi e le paure non svaniscono del tutto: “Certo, avere Gino tra le braccia mi ha cambiato la vita, ma la consapevolezza di ciò che avevo passato mi faceva vivere tutto ciò che riguardava mio figlio con grande apprensione: anche quando lo vaccinai i primi mesi, rimanevo a vegliarlo giorno e notte, ascoltavo il battito del suo cuore e osservavo ogni minima smorfia sul suo viso. Diciamo che più che alla scienza ho creduto alla vita, mi sono aggrappata alla fede e così siamo cresciuti insieme, lui come ragazzo io come donna e madre”.

Poi l’avvento della pandemia che ha stravolto le vite di tutti, un’escalation confusa e inquietante, un fenomeno almeno negli esordi ampiamente sottovalutato: come spesso accade ognuno matura una reazione differente e un diverso approccio ad una quotidianità improvvisamente carambolata in un susseguirsi di giornate vuote e tutte uguali, limitate negli spostamenti tanto quanto nella socialità: “Io ho avuto un qualcosa dentro che mi ha portato a condividere con simpatia qualche piccolo video” – racconta Irene che dell’ironia ha fatto l’ingrediente principale della sua istrionica personalità – “volevo sfogare la pesantezza di quei momenti e trasformarla in qualcosa di leggero, qualcosa che strappasse un sorriso a chi mi vedeva. Quanti poi mi hanno ringraziato chiedendomi di continuare a proporre i miei sketch sui social! Gino invece ha sofferto, gli mancava tutto, era spento. Un giorno, appena finito il lockdown, torna a casa e si chiude in camera: aveva avuto contatti con un positivo e pur con esito tampone negativo, voleva starmi distante. Mi voleva proteggere: qualche giorno dopo, secondo tampone stavolta positivo. Per fortuna senza grandi conseguenze, ma anche lì semmai ce ne fosse stato bisogno, ho capito quanto era esclusivo e prezioso il nostro legame nonostante anche tante idee differenti”.

Già, le idee differenti. Di tante mai Irene avrebbe pensato che una in particolare l’avrebbe spiazzata e stesa come un pugno potente e inaspettato: “Parlavamo della situazione generale, ma nello specifico dei vaccini non si parlava granchè. Io non sono una ‘No-vax’, lo dico chiaro, ma il mio vissuto, la paura della malattia, la mia condizione patologica congenita mi avevano frenato e non mi sono vaccinata. Una sera in cui Gino stava da suo padre, mi arriva una sua telefonata: ‘Mamma mi voglio vaccinare, ho deciso e non cambio idea. Te lo dico per telefono perchè poi se ti vedo piangere non resisto’. Una doccia gelata, ho passato la notte insonne a piangere e la mente mi ha riportato a quelle corsie di ospedale dove i dubbi assalivano, oltre alla sottoscritta, anche i bravi medici che mi assistevano e non sapevano che ne sarebbe stato di quel fragile corpicino. E se avrà delle reazioni avverse? Cosa faccio ora che non sono più io a decidere per lui?”

Domande che non hanno avuto risposta se non nell’amore. L’amore di guardarsi negli occhi e accettare, senza fare pressioni e senza pretese, in silenzio. “In tanti magari mi giudicheranno male” – racconta ancora Irene – “che sono una madre snaturata, che mio figlio capisce più di me, che sono una complottista. Io me ne frego perchè la vita è la mia e io soltanto so cosa ho passato: ho delle paure, non ho delle contrarietà aprioristiche. Ma ho accettato la scelta di mio figlio come voglio venga accettata la mia. In ogni caso tutto questo è stata l’ennesima lezione che mi ha dato comunque , dopo lo smarrimento iniziale, la forza per andare avanti con rinnovata grinta: ora approfondirò con una serie di visite specialistiche la mia situazione e una volta che ci avrò visto chiaro, se sarà il caso, non esiterò a vaccinarmi. Pochi giorni fa Gino ha ricevuto la prima dose, mi ha chiamata subito. ‘Mamma, sono vivo’ ha detto prima di lasciarsi andare ad una delle sue risate. Quelle per le quali sono viva anch’io”.

Marco Zorzi

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