Ho trent’anni, classe ’87, quindi non mi reputo una cariatide eppure mi sento un’ aliena quando guardo le adolescenti di oggi.
Chè in realtà io un po’ adolescente mi ci sento ancora, ma adolescente di un altro stampo.
Perché noi, degli anni 70-80-90 sembriamo arrivare da un altro mondo.

In un decennio si è sconvolto il mondo delle relazioni, delle comunicazioni, dell’impostazione familiare.

Noi eravamo quelli del coprifuoco alle dieci, col quarto d’ora di tolleranza per il ritardo sennò una settimana di punizione.

Eravamo quelli che aspettavano la Christmas Card per inviarci sms con gli amici e perlopiù erano barzellette o catene di Sant’Antonio.
Le ragazze giravano coi felponi informi dell’Adidas, la coda e il trucco era sommario, pasticciato, inguardabile.

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Il trucco rubato alla mamma e il glitter.
Il glitter spalmato scompostamente ed eterogeneamente sulla faccia è stato la piaga della mia generazione.
Sembravamo Moira Orfei dei tempi d’oro, eppure non ce ne preoccupavamo, ci piacevamo anche così.
Col monociglio e i baffetti incolti che sembravano peli pubici.
Eravamo semplici, naturali e ingenue, nonostante le sigarette fumate di nascosto e il sentirsi grandi per aver dato un bacio al ragazzino che ci piaceva.
Adesso invece i beauty case di una qualsiasi ragazzina valgono quanto un telefonino di ultima generazione.
Blush, correttore, paillette per il contouring, ombretto, rimmel, tinta labbra, eyeliner, illuminante e chissà quali altre diavolerie.
Perché la verità è che io metà di queste cose non solo non le ho mai usate, ma non so neanche cosa sono.
La prima ceretta a noi toccava a diciott’anni, adesso imparano la pregevole arte della depilazione alle medie.

Noi ci si scriveva i bigliettini, le lettere d’amore.

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E adesso? Chi la scrive più una lettera d’amore quando è più comodo fare un bel messaggio su WhatsApp di cui conservare lo screen?

Noi si cresceva piano, si guardava sailor moon e dragon ball.
Si usciva il pomeriggio per andare al parco a suonare la chitarra, ci si facevano le foto con le Kodak usa e getta.
Si telefonava di nascosto alle amiche dal telefono fisso e quando arrivava la bolletta della Sip si aprivano vere e proprie inchieste in casa per scoprire di chi fosse la responsabilità di una bolletta così alta.
Il sesso lo scoprivamo tardi, c’era sempre chi aveva esperienza prima degli altri e ci si riuniva attorno a lui/lei come a un guro per ascoltare i suoi racconti.
Il massimo di porno a cui potevamo aspirare era qualche play boy rubato a un fratello più grande e molti si accontentavano delle modelle di intimo del postalmarket.

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Adesso a quindici anni sono già stufi del porno, ne hanno libero accesso a tutte le ore dalla più tenera età.

Ho parlato con quindicenni che conoscono pratiche sessuali con nomi improbabili che mi sono completamente sconosciute.
Le ragazzine vanno a scuola agghindate come se fossero sulla passerella di Victoria’s secret.
Noi eravamo maschi mancati, credo che se avessi potuto mi sarei messa addosso un sacco dell’immondizia.
A stento mi lavavo la faccia la mattina, non avrei mai avuto la forza di farmi trucco, parrucco e stucco.
Il punto però è che non mi ponevo il problema.
Non era assolutamente nella mia scala di priorità. Sicuramente eravamo ingenui, forse “tatoni”. Ci siamo fatti le ossa a furia di fregature, col tempo. Adesso col cavolo che fai fesso un ragazzino.
Sono svegli, pronti, smaliziati e purtroppo anche disincantati.
Perché forse noi abbiamo avuto la possibilità di essere davvero adolescenti, di viverci la dolcezza tipica di quegli anni.

Forse a sti ragazzi, nella smania di dargli tutto, abbiamo tolto la cosa più importante:  la possibilità di essere piccoli, crescere piano, essere infantili e anche imperfetti.

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Perché devono essere perfetti loro, piccoli uomini e piccole donne che passano dalle bambole alle relazioni importanti.

Che passano dalla play station al locale figo e le griffe. Che vengono catapultati in questa società frenetica e veloce.
Dove i rapporti interpersonali sono ridotti all’osso, devono essere scarnificati e svelti, facili come i sofficini Findus.
Una società che sempre più spesso non ha tempo per le cose che contano, che si ciba di pizza d’asporto e take away.
Una società perennemente connessa, che fa le stories su Instagram e si localizza ovunque ma che nei sentimenti non investe nulla.
Ragazzi che hanno tutto e a cui manca di più.
Con le unghie impeccabili e la solitudine di un’infanzia rubata.
Annina Botta
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