Insegnanti italiani sempre più anziani, entro dieci anni la metà andrà in pensione Lo dice l’Ocse, attraverso l’indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento Talis. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico invita l’Italia a muoversi per sopperire ai tanti posti, oltre 400mila, che si andranno a liberare entro due lustri: “Il 48% degli insegnanti in Italia ha 50 anni e più (media Ocse 34%). Ciò significa che l’Italia dovrà rinnovare circa un docente su due nel prossimo decennio”, si legge nella nota Paese rivolta all’Italia, dal quale risulta comunque un giudizio più che positivo del docente medio italiano, sempre aggiornato, collaborativo e al passo con la tecnologia applicata alla didattica.

“La stima realizzata dall’Ocse sull’alto numero di docenti che entro il 2029 lasceranno la cattedra – afferma Marcello Pacifico, presidente nazionale di Anief – è un campanello d’allarme che chi governa la scuola non può non sentire: più di 400mila insegnanti che lasceranno il servizio, alle media di 40mila l’anno, confermano le nostre previsioni di 300mila cattedre da coprire con assunzioni entro il prossimo biennio, considerando che ad oggi c’è una carenza di cattedre che supera quota 120mila. Per farlo, continueremo a dirlo sino all’estremo, non si può prescindere dalla riapertura delle Gae e dal ricorso, all’occorrenza, della seconda fascia d’istituto, visto che in entrambi i casi si tratta di precari selezionati, formati e abilitati”.

I docenti italiani hanno un’età media di 49 anni, contro i 44 anni della media nei Paesi Ocse. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico lo certifica a seguito dell’indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento Talis (Teaching and learning international survey) per il 2018, pubblicata in queste ore. Il risultato non sorprende Anief, secondo cui non fa altro che confermare il conto annuale pubblicato dal Mef, in primavera, dal quale è risultato che i nostri insegnanti hanno l’età più avanzata in Europa.

Il docente italiano è fortemente collaborativo, quasi sempre frequenta corsi di formazione e aggiornamentoalmeno una volta l’anno, nella maggior parte dei casi “riferisce di aver spesso calmato studenti problematici” e “valuta abitualmente i progressi dei propri studenti osservandoli e fornendo un feedback immediato”. Inoltre, “l’uso delle Tic per l’insegnamento” è stato incluso nella formazione o istruzione formale” e per due insegnanti su tre quella dell’insegnamento “è stata la prima scelta professionale”.

“Ciò che esce fuori dallo studio Ocse – prosegue Pacifico – è un profilo di un insegnante italiano attaccato alla professione, che si forma in modo continuo, efficace nell’azione formativa e con un rapporto positivo con i propri alunni. Anche il grado di competenza tecnologica è diventato adeguato alla professione. Un grave problema irrisolto rimane invece quello del ricambio inadeguato di personale. Tanto da detenere la palma del Paese con docenti più avanti negli anni rispetto agli altri Paesi. E non saranno certo i concorsi-lumaca a risolvere la situazione”.

“L’assunzione graduale dei precari inseriti nelle Gae e nella seconda fascia d’istituto – dice il sindacalista autonomo – non è solo un diritto da espletare, verso lavoratori che permettono da anni e anni di portare a termine il regolare servizio scolastico; è anche un’esigenza impellente, che se non si esaudirà andrà a determinare un altissimo numero di posti vacanti, assegnati ogni anno quasi sempre ad un docente diverso. Già questa estate vivremo il record di supplenze annuali: se non vogliamo diventare la ‘barzelletta’ dell’Ocse, dove dominano le cattedre di precari”.

“Sull’età media che rimane altissima, infine, la soluzione non è quella di respingere i precari storici, che rappresentano delle preziose risorse da non farsi certo scappare via. La strada da intraprendere è sempre e solo quella di allargare a tutto l’insegnamento, non fermandosi ai maestri della scuola dell’infanzia, tra le professioni più stressanti e gravose, quindi inserite in quelle meritevoli dell’Ape Social. Non è una concessione, ma una normale conseguenza, ravvisata anche dall’Oms, dell’alto stress e burnout collegato all’insegnamento, con ripercussioni sulla spesa sociale per via dell’insorgenza di patologie e malattie invalidanti e dell’assistenza medica e specialistica: ci sono Paesi come la Germania e la Francia che l’hanno capito da tempo, mandando in pensione i loro docenti attorno ai 60 anni o con meno di 30 anni di contributi, senza particolari decurtazioni. Noi, invece – conclude Pacifico – ci teniamo stretti i nostri record sempre più di cui vergognarci”.

P.V.

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