«È legge dello Stato una disposizione normativa che, a parere di Apidge, rischia di minare le stesse basi su cui regge il sistema scolastico». Lo dichiara Ezio Sina, presidente dell’Associazione professionale dei docenti di diritto ed economia politica, a proposito della legge 92 del 20 agosto 2019, pubblicata ieri nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, che introduce l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado.

«Viene profondamente limitato il principio dell’istruzione uguale per tutti (articolo 34 della Costituzione) e si comprime a dismisura la professionalità del personale docente (articolo 33)», afferma Sina, coerentemente con le critiche espresse in precedenza a proposito della norma approvata definitivamente in Senato lo scorso primo agosto. Norma che affida trasversalmente l’insegnamento dell’educazione civica ai docenti non abilitati in scienze giuridiche ed economiche, demandandolo a quelli di diritto ed economia soltanto se presenti nell’organico dell’autonomia dei singoli istituti superiori di secondo grado (articolo 2, comma 4 della legge 92/2019).

«È cosa nota – prosegue il presidente di Apidge – che al Miur stanno già “lavorando” per un sostanziale ridimensionamento dei titoli di accesso all’insegnamento in tutte le altre discipline. Più che le scelte politiche ci preoccupa l’acquiescenza manifestata da parte degli 800mila e passa insegnanti e il silenzio delle organizzazioni sindacali. Intanto, la scuola procede sempre più sotto la “sapiente regia” dei dirigenti scolastici. Apidge – conclude – si fa promotrice di una campagna di attenta ricognizione e valutazione di questi preoccupanti fenomeni».

Sulla nuova legge, eredità dell’ormai defunto governo gialloverde, confezionata dal ministro leghista Marco Bussetti con la piena complicità del Movimento 5 stelle, gravano ulteriori perplessità da parte dei tecnici, secondo i quali non potrà entrare in vigore prima dell’anno scolastico 2020 – 2021. Come sottolinea l’Anief, la rivista specializzata Tuttoscuola non ha dubbi: «L’articolo 2 della legge della nuova educazione civica prevede con molta chiarezza che “A decorrere dal 1° settembre del primo anno scolastico successivo all’entrata in vigore della presente legge, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione è istituito l’insegnamento trasversale dell’educazione civica”. Non possono esserci equivoci o scappatoie. La legge è precisa: il 1° settembre dell’anno scolastico successivo non potrà essere quello del 2019-20». Questo perché, essendo stata pubblicata ieri nella Gazzetta ufficiale, non potrà che entrare in vigore il prossimo 5 settembre.

«Eppure – obietta Tuttoscuola – c’è chi cerca di rimediare a quello che potrebbe sembrare una sconfitta politica, proponendo di considerare come inizio dell’anno scolastico (ma la legge non parla di inizio ma di 1° settembre!) l’inizio delle lezioni, diverso da regione a regione, non tenendo conto che dal 1° settembre le scuole sono già funzionanti con le attività di programmazione da parte dei docenti. Una proposta, in palese violazione di quanto espressamente prevede la nuova norma, che non si preoccupa della fattibilità della legge (mancano ancora le linee guida da parte del Miur e l’organizzazione del nuovo insegnamento da parte delle scuole), ma che sembra, invece, considerare la facciata, l’impatto comunicativo, il vanto dell’obiettivo politico raggiunto. A costo di violarla la legge: un bell’esempio di educazione civica», conclude polemicamente la rivista.

«Pensare di introdurre una legge dello Stato, finalizzata a crescere cittadini consapevoli e responsabili, solo grazie a degli escamotage e delle scappatoie – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – la dice lunga sullo spessore di quella stessa classe politica che ha fortemente voluto approvarla. Rimangono poi irrisolti i problemi insiti nel testo di legge di una materia di fatto inglobata in altre, quindi a danno di altri moduli disciplinari, non per via di un preciso progetto pedagogico – formativo ma semplicemente perché da realizzare a costo zero. Come rimane tutta da comprendere – conclude Pacifico – la possibilità di insegnare una disciplina di un’ora a settimana affidandola ad un numero imprecisato di insegnanti».

Il sindacato aveva già espresso i suoi dubbi sull’allora disegno di legge, durante l’audizione tenutasi in commissione Cultura di Montecitorio, lo scorso 12 marzo, chiedendo l’istituzione della disciplina come materia autonoma, quindi aggiuntiva alle attuali, con un minimo annuale di non meno di 33 ore per la scuola primaria e 66 ore per la secondaria: «Per la scuola primaria e secondaria di primo grado, la disciplina si sarebbe dovuta impartire dai docenti dell’area storico – geografica, che per la scuola secondaria di secondo grado avrebbero dovuto avere una preparazione specifica dei docenti; bisognava poi estendere l’oggetto degli studi alle istituzioni europee, come indicato in una raccomandazione del Parlamento e dal Consiglio del 18 dicembre 2006 (2006/962/Ce), relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, che delinea otto competenze chiave, tra cui quelle sociali e civiche».

Posizioni, queste ultime, di dubbia legittimità. Da qui le perplessità espresse da Apidge sulla condotta dei sindacali. Considerando che proprio la legge 92, all’articolo 3, a proposito delle competenze da sviluppare e degli obiettivi di apprendimento, parla esplicitamente di studio della Costituzione, delle istituzioni dello Stato italiano e di quelle europee, di cittadinanza digitale, di elementi fondamentali di diritto, di educazione ambientale, sviluppo eco – sostenibile, patrimonio ambientale, educazione alla legalità. Tutti argomenti che, in base ai programmi ministeriali, sono giustamente appannaggio dei docenti di scienze giuridiche ed economiche, abilitati per legge al loro insegnamento, e che, solo in via complementare, sono lambiti dai colleghi delle altre materie, come quelle dell’area storico – geografica.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia