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Dal SudAfrica a Piovene, compie 95 anni l’Alpino ‘Ninin’

“Oggi per sempre fratelli. Alpini”. E proprio come un fratello l’Alpino Giovanni Crestanello, ‘Ninin per gli amici, è stato accolto dal Gruppo Alpini di Piovene Rocchette per festeggiare i suoi 95 anni.

Vivacità nello sguardo, che non poche volte lascia il passo alla commozione, Giovanni Crestanello non si sottrae alla curiosità di chi vuol sapere di lui. Come a voler carpire il segreto di una vita lunga, fatta di sacrifici e soddisfazioni, costruendosi un futuro lontano 12mila km da casa.

Figlio di un ferroviere di Schio, l’Alpino Ninin nasce nel ‘27 nel casello ferroviario di Santorso. A 19 anni prende una valigia per mano in cerca di fortuna, “sono andato in Belgio a lavorare-racconta Giovanni-quando sono rientrato a Piovene Rocchette ho trovato i carabinieri ad aspettarmi perché ero renitente alla leva: stando all’estero non avevo fatto la naja ed era arrivata l’ora di farla. Così nel ‘50 mi sono arruolato e sono entrato nel Corpo degli Alpini dove mi sono poi congedato nel ‘51”.
Prima il Car a Vipiteno, “ sono rimasto per due mesi e mezzo” e poi il trasferimento a Merano entrando nel corpo musicale dell’Ana, “ero seconda tromba già prima di fare il militare e quando hanno saputo che suonavo uno strumento mi hanno voluto nella banda: eravamo una ventina di musicisti-continua-Non sempre andava bene, perché non conoscevo ancora bene certi spartiti. Non dimenticherò mai quella mattina dove mi dissero che dovevo suonare la sveglia, ma non sapevo come fare: alla fine i miei commilitoni mi lanciarono dei pezzi di pane”.

Dopo il congedo torna a casa. Riprende i fili della sua vita e viene assunto come muratore da una ditta di Thiene. “In quel periodo ho lavorato anche nelle scuole elementari di Piovene Rocchette: abbiamo tirato sù i muri per fare il nuovo piano”. Ma per Giovanni arriva il tempo di costruire qualcosa anche per sé quando si innamora di Olga, “era la figlia del mastro birraio della Birreria Summano di Rocchette: ci siamo sposati nel ‘55 e un anno dopo è nata la nostra prima figlia Carla”. Coppia di sposi novelli e con la piccolina in braccio, nel ‘57, Giovanni e Olga fanno le valige, chiudono la casa di Piovene Rocchette e partono per il SudAfrica. “Mio fratello era lì da qualche mese, con la sua famiglia, e ho deciso di raggiungerlo: per trovare nuove opportunità-segue il filo dei ricordi, senza scordare le date importanti-Il 1° aprile di quell’anno ho preso l’aereo da Roma per il SudAfrica mentre Olga, che portava in grembo la nostra seconda figlia, mi ha raggiunto in nave assieme alla piccola Carla”. Arrivati a Johannesburg Giovanni e Olga piantano le loro radici e allargano la famiglia: a pochi mesi dal loro arrivo nasce Ivana e tre anni più tardi Paola. Si inseriscono nella piccola comunità italiana e Giovanni trova lavoro in una società che produce macchine agricole. Ma quel pezzo di cuore che ha lasciato a Piovene Rocchette continua a pulsargli nel petto: “lì erano rimaste mia mamma e mia sorella e avevo tanta voglia di vederle”. Ma per farlo dovrà aspettare qualche anno: deve ancora lavorare per avere quella stabilità economica che gli permetta di affrontare il viaggio. “Alla fine, dopo 12 anni, ci sono riuscito-ricorda-Mi sono promesso che l’avrei fatto più spesso ma solo dall’82 ho potuto farlo almeno una volta all’anno”.



Il suo, un arrivo a casa che non passa mai inosservato, come fosse la Penna Nera che svetta sul suo capello ad annunciarne l’arrivo. “E’ sempre una gioia per tutti noi poterlo abbracciare e festeggiare-commenta Giovanni Pattanaro, Capogruppo degli Alpini di Piovene Rocchette-E ascoltare i suoi racconti: una vita di migrante che, con non pochi sforzi e sacrifici, si è creato una famiglia unita. Ma non solo. Dedicandosi anche a portare avanti i valori di noi Alpini in una terra così lontana. Infatti, nell’87, Giovanni ha contribuito alla fondazione della Sezione ANA in SudAfrica, coltivando i valori che costituiscono il nostro grande Corpo: lo spirito di sacrificio, il senso del dovere, la tenacia, l’amicizia e la solidarietà verso gli altri. Grazie a questi Alpini, il 1° novembre di ogni anno, non vengono dimenticati i 259 italiani morti nel campo di prigionia inglese vicino a Pretoria. Nostri connazionali catturati, messi a vivere in baracche di lamiere e mandati ai lavori forzati nei campi o a costruire ponti in SudAfrica. L’orgoglio con cui porta il cappello d’Alpino in testa è la sintesi dell’esserlo che pulsa in ciascuno di noi. Perché Alpini lo si è per sempre”.

di Redazione Altovicentinonline

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