- AltoVicentinOnline - https://www.altovicentinonline.it -

Neve killer per gli animali. Ferron: “Ma il vero nemico è l’uomo”

Neve killer per i caprioli che vivono in montagna, che non possono mangiare per mantenere viva la flora intestinale e molti di loro moriranno con il disgelo, non di fame, ma gonfi d’erba. Ma soprattutto a mettere a repentaglio gli animali è ancora una volta l’uomo che, con la presunzione di ‘applicare’ la sua cultura alla natura, fa danni. Ecco quindi che con ciaspole e sci alpinismo si disturbano le pernici bianche al covo o i forcelli riparati dentro le gallerie nella neve e si obbligano allo spostamento gli ungulati nella neve alta.

E’ il paradosso della bellezza della neve in montagna, che se per l’uomo è bellissima e divertente, per alcune specie animali significa mettere il rischio della sopravvivenza di molti esemplari. Non sarebbe così in natura, perché gli animali sono forgiati da secoli di evoluzione e una grande nevicata, per quanto improvvisa e durevole, stimola semplicemente la selezione.

Sono soprattutto i caprioli a pagarne in modo più duro le conseguenze ed il responsabile è l’uomo, che nel corso degli anni ha ‘spinto’ l’animale a quote più elevate, spostandolo dalla pianura alla montagna, habitat che in inverno per l’ungulato è un ‘campo minato’.

Va diversamente per uccelli, orsi, lupi e ungulati di montagna, ‘programmati’ per la sopravvivenza anche in condizioni rigide.

E’ Giancarlo Ferron, naturalista e scrittore, competente nell’analisi della vita in montagna, a spiegare che cosa succede agli animali quando i boschi sono coperti di neve, quando le persone sono al calduccio davanti al fuoco a mangiare castagne e cioccolata, mentre gli animali stanno in natura, sole, pioggia o neve che sia.

Ferron, come se la stanno cavando gli animali con questa imponente nevicata? Sono stati presi alla sprovvista o, in qualche modo, sono ‘programmati’ per procacciare cibo comunque?

Gli animali, intesi come specie, non vengono presi alla sprovvista da una nevicata abbondante, mentre alcuni soggetti possono perire per effetto della selezione naturale, finalizzata ad eliminare i non adatti ad un certo ambiente. In merito alle strategie adottate possiamo dividere le specie in tre gruppi: la prima sopporta la penuria di cibo invernale accumulando energie in forma di grasso sottocutaneo, la seconda aggiunge all’accumulo di grasso un lungo periodo di inattività, il cosiddetto letargo, e la terza migra e va a svernare il luoghi dal clima più favorevole. Questo non deve, però, far pensare che siano tutte rose e viole nel senso che i soggetti morti durante l’inverno e nel corso delle migrazioni ci sono comunque.

Quali sono lo specie più a rischio, soprattutto sulle nostre montagne?

Sulle nostre montagne la specie più a rischio è il capriolo perché non è un animale adatto ai terreni coperti di neve. Non è un animale alpino, lo abbiamo costretto noi a vivere in montagna perché lo abbiamo sfrattato dalle colline e dalla pianura. È un ungulato con le zampe e sottili che sprofondano facilmente nel manto nevoso. Bastano quaranta centimetri di copertura perché il capriolo si trovi in grosse difficoltà. È il motivo per il quale in occasione di copiose nevicate tutti gli ungulati tendono a ridurre a minimo gli spostamenti per risparmiare energie: si ritirano in luoghi tranquilli e riparati come per esempio vicino al tronco di un grande abete, i cui rami creano un effetto tenda che non permette alla neve di accumularsi. Se non sono disturbati possono resistere a lungo rosicchiando gemme, erbe secche e ramoscelli che spuntano dalla neve. Questi alimenti servono in particolar modo a mantenere viva la flora batterica intestinale, indispensabile per la digestione delle sostanze vegetali. In casi estremi può capitare che l’animale riesca a superare l’inverno, grazie alle energie contenute nel grasso sottocutaneo, ma non riesca a introdurre sufficiente alimento per la sopravvivenza della flora batterica. Paradossalmente la conseguenza è che in primavera, quando ci sarà erba in abbondanza da mangiare, il capriolo morirà di fame con la pancia piena perché non sarà in grado di digerirla. Muoiono più caprioli in primavera che durante l’inverno. Un aspetto interessante e che gli ultimi studi, fatti con animali dotati di radiocollare, hanno messo in evidenza che i caprioli si spostano con piccole migrazioni stagionali per cercare territori più adatti alla stagione, soprattutto per quanto riguarda la quota.

Come procacciano il cibo gli uccelli?

A seconda delle specie si hanno comportamenti diversi. Ci sono specie spiccatamente migratorie che partono e se ne vanno a svernare nei paesi caldi. Altre definite erratiche, come per esempio il becufrusone: di questa specie si sa che vive in nord Europa e solo nel caso di inverni particolarmente rigidi si sposta fino a raggiungere anche le nostre regioni settentrionali, per mangiare ciò che resta sugli alberi di kaki o di sorbo degli uccellatori. Altri uccelli normalmente migratori come pettirosso, fringuello, cesena e tanti altri, durante gli inverni miti a volte non completano la migrazione verso sud e passano l’inverno sui nostri territori, nutrendosi di quello che trovano. Altri ancora scelgono proprio l’inverno perfino per nidificare come il crociere che, con il suo becco a con la punte incrociate riesce a estrarre i semi degli strobili (pigne) degli abeti e del pino mugo abbondanti d’inverno. La nocciolaia, un bellissimo corvide, può resistere attingendo cibo dalle sue scorte: veri e propri depositi di semi nascosti sotto le foglie in vari punti nel bosco. Infine gli uccelli stanziali montani e alpini, come il gallo cedrone, il gallo forcello e la pernice bianca. Sono definiti ‘relitti glaciali’ perché sono animali nordici, arrivati fin qui durante l’ultima glaciazione, quando cioè quindicimila anni fa la calotta glaciale si è spinta fino a lambire letteralmente la Valle dell’Astico. Quando il ghiaccio si è ritirato queste specie, con alcuni mammiferi come l’ermellino e la lepre bianca, nordici pure loro, si sono fermati ad abitare alle quote più alte delle nostre montagne. Si tratta di animali adatti al grande freddo: il forcello, il cedrone e la pernice bianca possiedono un piumaggio particolarmente compatto che, nel caso della pernice, copre perfino le zampe, possiedono tutti apparati digerenti complessi in grado di ricavare nutrimento da alimenti poverissimi come gli aghi delle conifere. Adottano comportamenti che li proteggono dal freddo e dai predatori: il gallo cedrone se ne sta appollaiato per giorni e giorni sullo stesso abete mangiando solo aghi. Il gallo forcello scava gallerie nella neve e se ne resta al riparo per tantissime ore di seguito. La pernice bianca d’inverno è bianca come la neve quindi l’immobilità, il piumaggio termico e mimetico la proteggono dal freddo e dai predatori.

I lupi sono i grandi protagonisti delle nostre montagne, hanno un fascino popolare senza pari, come vivono l’inverno e in particolare questo inverno?

Il lupi, da intelligenti e abili predatori quali sono, approfittano dalla situazione e catturando gli animali più deboli e sprovveduti, contribuiscono efficacemente alla selezione naturale in entrambe le direzioni. Ovvero i lupi che non sono abbastanza forti e abili per cacciare muoiono di fame, le prede che non hanno forza ed esperienza periscono. È una legge dura ma efficace: ogni specie è il risultato di milioni di anni di evoluzione.

Da noi non ci sono molti orsi, ma qualcuno è stato avvistato. Come affrontano l’inverno?

Gli orsi accumulano grassi durante la buona stagione, come pure le marmotte, i ghiri e i moscardini, poi si addormentano nella tana per qualche mese mentre fuori nevica e fa molto freddo. Il letargo dell’orso è però un po’ particolare. Sappiamo che, per tutti, questa fase è caratterizzata da un forte rallentamento delle attività metaboliche del corpo: diminuzione della temperatura, dei battiti cardiaci, del consumo di ossigeno e delle respirazioni, che insieme causano un sonno profondo. Per l’orso non è valida la definizione del ‘sonno profondo’, perché può svegliarsi facilmente se disturbato e può anche svegliarsi spontaneamente e fare un giretto fuori dalla tana in pieno inverno. Sono conosciuti casi di soggetti che non sono affatto andati in letargo. La cosa che però fa più scalpore è che l’orsa partorisce i suoi cuccioli li allatta durante il letargo.

Ci sono specie che sono più a rischio delle altre? Che non sanno affrontare la neve?

È difficile che una specie sia a rischio solo per colpa dell’inverno o della neve, nel senso che ogni animale è stato letteralmente scolpito dall’evoluzione per vivere in un certo ambiente con le sue caratteristiche stagionali. Il problema per tutte le specie, soprattutto per quelle più rare e preziose, è l’uomo. L’era che stiamo vivendo è stata definita ‘antropocene’ perché l’uomo, con la sua arrogante presenza ha modificato, distrutto, inquinato ed eliminato interi habitat e specie, tanto che il mondo scientifico considera la nostra specie come la causa della sesta estinzione di massa nella storia della Terra. Quando per effetto del cambiamento climatico da anni non si vede una bella nevicata e poi, improvvisamente, cade un metro di neve in una volta, è chiaro che i soggetti che moriranno, di tutte le specie, possono essere di più rispetto a quanto si è visto negli inverni più miti. Ma questo non è un problema perché nelle regole della natura è tutto previsto. Le eccessive densità di una certa specie vengono comunque sempre regolate, se non da una nevicata abbondante, da una improvvisa malattia che riporta i numeri a livelli accettabili. Questo dovrebbe farci meditare molto in merito alla pandemia che sta colpendo la specie umana. Non è che per caso siamo troppi, troppo invadenti, distruttivi e insopportabili per l’ambiente? La peste, il colera, il vaiolo e le semplici influenze del recente passato avevano esattamente lo scopo di ridurre i soggetti della nostra specie come succede nelle altre. Temo sia un’illusione quella di pensare che con i vaccini potremo evitare per sempre uno sfoltimento drastico della nostra specie.

Che cosa può fare l’uomo per aiutare gli animali in pericolo? O è meglio in ogni caso che se ne stia lontano e lasci fare il suo corso alla natura?

Meglio che l’uomo non faccia nulla, perchè quando si muove fa danni. Sinceramente mi fanno ‘tenerezza’ i personaggi che si fanno fotografare o filmare mentre con le motoslitte o a piedi arrancano nella neve alta per portare fieno agli animali. Prima di tutto bisogna chiedersi perché lo fanno: non è che si vuol salvare qualche soggetto in più per avere a disposizione più animali a cui sparare?  È dimostrato scientificamente che foraggiare gli ungulati non è corretto perché si favorisce in maniera innaturale la concentrazione di animali e la conseguente trasmissione di malattie contagiose. Si sa che assembramenti e virus vanno perfettamente d’accordo. Poi la concentrazione fa aumentare esponenzialmente i danni al bosco perché gli ungulati tendono a brucare tutta la rinnovazione e le cortecce degli alberi adulti. Il foraggiamento aumenta le probabilità di sopravvivenza di soggetti non adatti, come le raccomandazioni collocano persone incompetenti in posti di responsabilità: sappiamo tutti quali sono gli effetti.

Ciaspole e sci alpinismo, in questo periodo, possono danneggiare gli animali?

In questo periodo ci sono cose che per gli animali possono essere disastrose. Quando dico ‘l’uomo non deve fare niente’, intendo anche che non deve disturbare gli animali in un momento così delicato nel quale ogni spreco di energia per loro può risultare mortale. L’escursionismo in quota con le ciaspole o lo sci d’alpinismo fatto ad ogni costo, può essere disastroso, disturba pernici bianche al covo o forcelli riparati dentro le gallerie nella neve, può essere dannoso perchè obbliga allo spostamento gli ungulati nella neve alta.

Anna Bianchini

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su: