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“Schio non dimentichi i padri della resistenza”. Socialisti al processo di Pradamano

“Con cent’anni sulle spalle la Grande Guerra si specchia al suo passato, rivelando le immagini delle migliaia di soldati morti in combattimento mentre nelle loro case la miseria decimava il Paese”.
In questo contesto storico, lo scrittore Ugo De Grandis, va ancora più a fondo nelle ferite inflitte alla ‘sua’ Schio durante il secondo conflitto mondiale, compiendo un salto nel passato tra i fatti della Grande Guerra, per ricercare i padri della Resistenza, socialisti scledensi e vicentini alla sbarra nel processo di Pradamano del 1917.

Con la sua ultima opera ‘Guerra alla Guerra’, libro che De Grandis presenterà  sabato 25 novembre alle 20.45 a Schio a Palazzo Toaldi Capra, l’autore ricostruisce tappa dopo tappa il processo voluto dal generale Luigi Cadorna, come tentativo eclatante di annientare, con pene capitali, la sovversione interna alle truppe ad opera di soldati militanti socialisti, trainata da 8 giovani di Schio, chiamati al fronte durante la prima guerra mondiale.

libro de grandis guerra alla guerra

Un percorso storico frutto di ricerche che l’hanno condotto dall’archivio centrale dello Stato fino all’ufficio storico dello Stato Maggiore di Roma, trovandosi per mano centinaia di documenti dell’epoca: “Pur avendo una conoscenza sui fatti, sono rimasto sorpreso dalla grande capacità dei principali imputati al processo di Pradamano, di creare una rete di diffusione ed informazione tra le truppe”.

Il grido di battaglia
“Guerra alla Guerra” fu lanciato dal giovane militante socialista di Schio, Pietro Pietrobelli, chiamato alle armi a soli 17 anni, mentre si trovava sulla selletta Kozliak nei pressi del Monte Nero per difendere a colpi di baionetta la roccaforte sottratta agli austriaci. Un grido che venne raccolto dal messinese Pietro Pizzuto, anche lui di stanza sulle alpi Giulie, sancendo una forte amicizia intrisa nei comuni ideali sociali.
I due, assieme ad un altro messinese Umberto Fiore che si trovava a Colle Xomo, tra la Val Leogra e Val Posina, diedero vita ad una robusta rete di contatti e ad una fervida propaganda che denunciava l’odio per la guerra in corso, auspicando alla pace, incitando alla sovversione tra le fila dei soldati.

pietro pietrobelli

“I dolci” e la “monna Anastasia”
A mettere fine all’intensa propaganda contro la guerra, guidata in un clima di terrore da parte di Cadorna, fu la ‘monna Anastasia’, la censura intensa che intercettò i “dolci”, i ritagli di giornali sovversivi, infilati nella corrispondenza, che i militanti socialisti facevano arrivare in ogni regione, ma con un forte dispaccio a Schio.
Da lì le indagini condotte dai Reali Carabinieri, con più di 500 perquisizioni a domicili privati e sedi di circoli socialisti, con l’arresto di 52 militanti, per la maggior parte sotto le armi, oltre ad alcuni civili: 43 ritenuti colpevoli di propaganda socialista, 8 dei quali dovettero rispondere dinnanzi ai tribunali di Bologna e Palermo, perché avevano fatto propaganda pacifista in zona non dichiarata da guerra.

Il processo
Per gli altri fu istituito un tribunale militare straordinario, a Pradamano, con 35 imputati trascinati nel volere di Cadorna ad una morte certa, da portare ad esempio a chiunque altro tentasse di fomentare ‘disprezzo del sentimento patrio’, che potesse ostacolare la ferrea disciplina che imponeva al suo esercito.
Contrariamente alle richieste del Pubblico Ministero non vi fu alcuna condanna a morte, le pene detentive furono pressoché dimezzate e furono pronunciate parecchie assoluzioni per inesistenza del reato.
“Non si può non raccontare del processo di Pradamano – spiega De Grandis – Da quei fatti si scorgono i germi del successivo antifascismo. Si intravede la Resistenza che nel secondo conflitto cambiò la storia di Schio. Gli imputati al processo, scampati all’esecuzione ma condannati all’inferno nei duri carceri militari, sono i padri di una generazione che per prima ha scioperato durante l’occupazione tedesca, diventando un traino nazionale”.

alfredo bologna

Provocazione dell’autore
Tra gli imputati anche lo scledense Alfredo Bologna, l’unico dei 35 che morì nel carcere di Volterra. Discendente dell’antica casata dei nobili Bologna, presenti a Schio sin dal 1486: “Una famiglia di imprenditori e politici che hanno sempre dato molto a Schio – spiega De Grandis – E mi irrita non poco che nella nostra città si possa passeggiare tra vie intitolate a generali che si sono macchiati del sangue delle esecuzioni sommarie da loro ordinate, mentre per Alfredo Bologna non c’è nulla che lo ricordi”.

 

Paola Viero

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