Protesta a Torino da parte di alcuni membri della comunità egiziana che hanno manifestato per esprimere dissenso nel vedere i loro figli andare in adozione a famiglie italiane e cattoliche.

Come riporta Repubblica, il caso è esploso per esprimere solidarietà a Ziad, un bimbo di 8 anni allontanato dalla famiglia d’origine e dichiarato adottabile. Il piccolo, con ogni probabilità, crescerà in un contesto italiano e cattolico, nonostante la comunità di dichiari contraria.

Riporta Repubblica: “L’educazione dei figli è una questione di cultura”, ha rivendicato la comunità egiziana che ha manifestato davanti a Palazzo Civico contro una trentina di provvedimenti di tribunale e servizi sociali, che nell’ultimo periodo hanno allontanato altrettanti bambini dalle loro famiglie di origine, consegnandoli a comunità protette o ad altre famiglie affidatarie. “I nostri bambini finiscono in famiglie che non hanno la nostra religione e nemmeno la nostra cultura”, ha affermato Amir Younes, principale referente della comunità egiziana a Torino, che era alla manifestazione assieme ad un centinaio di persone.

“È una questione religiosa, ma non solo. È importante che i nostri bambini, anche nelle famiglie considerate più difficili, non perdano il legame con le loro origini”, ha commentato Abdel Wahab Abdel Hamid, avvocato della famiglia di Ziad – Hanno negato al bambino la possibilità di tornare in famiglia, accudito da uno zio e non dai genitori, perché secondo il giudice il bambino non ha alcun legame con quel parente — ha spiegato il legale — Ma che legame potrà mai avere con una famiglia italiana e cristiana che non ha mai visto prima?”

I genitori di Ziad sono accusati di averlo abbandonato: “Ma lo hanno perso di vista un’ora perché era sfuggito al controllo e si era allontanato – ha continuato l’avvocato della famiglia – Per un egiziano è difficile accettare che il proprio figlio venga cresciuto in una famiglia cristiana. Sono fatti come questo che aumentano l’odio e fanno male all’integrazione”.

Marco Giusta, assessore comunale alle Famiglie, si è offerto come interlocutore: “Non è un argomento che compete al comune. Ma se la richiesta è quella di trovare un sistema per garantire una maggiore continuità culturale per i bambini di origine straniera che vengono allontanati dalle famiglie, possiamo aprire un dialogo con il tribunale e con i servizi sociali per affrontare il problema”.

“Io ho cinque figli, me li hanno tolti tutti e li hanno messi tutti in comunità diverse – ha detto  Merfat, 37 anni, in Italia dal 2005 – Mi hanno concesso di tenere la più piccola per un periodo per allattarla, ma ora dovrei portare anche lei in comunità”. Il figlio maggiore ha 16 anni, ne aveva 13 quando gli assistenti sociali lo hanno portato via insieme ai fratelli. “Tutto è cominciato perché una delle mie figlie ha detto a scuola che il padre l’aveva picchiata. Da allora non li vedo più”. L’episodio esiste e Merfat non lo nega: “Ma mio marito non ha mai picchiato la bambina, l’ha rimproverata, magari è stato brusco, ma lo ha fatto per educarla, non per farle del male”. Che alcuni metodi educativi, tipici della famiglia tradizionale, non siano più accettati in Italia ma siano ancora comuni in altri paesi, come l’Egitto, è un tema che fa discutere. “Vorremmo poterlo spiegare ai giudici — ha detto Younes, rappresentante della comunità – Vorremmo che conoscessero meglio la nostra cultura». Ma allo stesso tempo il referente degli egiziani a Torino, che è anche il direttore della scuola araba ‘Il Nilo’, è impegnato da mesi per organizzare corsi in cui spiegare ai genitori che vivono in Italia quali sono i sistemi educativi migliori. Un’iniziativa che trova il favore dell’amministrazione: “Anche il Comune lavorerà per organizzare incontri e corsi di questo tipo”, ha assicurato Giusta.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia