Ha iniziato a fare il regista quasi per gioco, giusto giusto perché è figlio d’arte, ma ci ha messo poco a capire che era la sua strada e ci si è buttato a capofitto. Una strada talmente giusta, che il suo primo cortometraggio ‘No share’ è balzato tra i 10 finalisti al ‘LA Film Awards’, nella mecca del cinema.
Riccardo Roan, 27 anni di Thiene, volerà a Los Angeles a febbraio per la finale, con un cortometraggio costato in tutto mille euro, che ha visto la collaborazione dei suoi amici e il sostegno della famiglia.
Riccardo Roan, cosa significa essere un regista?
Non lo so ancora, prima devo fare 3 film, ‘No share’ è solo il primo. Il primo è un test, il secondo è una prova, il terzo è la prova del nove: se va bene anche quello, allora posso pensare di essere un regista.
Ci parli di ‘No share’.
E’ un cortometraggio scritto e diretto da me. Mille euro il budget, finanziato dalla mia famiglia che ha deciso di credere in me e darmi una possibilità. Ci sono circa quindici persone e dura venti minuti.
Il significato?
E’ un cortometraggio sulla condivisione, o meglio sulla non-condivisione, come dice il titolo stesso in inglese. Un corto pervaso di humour nero, dove però emerge qualcosa di ironico in ogni situazione. Ad un alcolista viene chiesto di condividere, per guarire dal suo problema. La sua risposta è “Io condivido tutto, anche l’aria, ma non la mia storia”.
Come si svolge il corto?
E’ la giornata tipo di un uomo che affronta problemi di tempo, di spazio, di aria. Vorrebbe isolarsi, ma anche a casa viene disturbato e lui ad un certo punto esplode. Per difendersi si costruisce un’armatura anti-persone, con tanto di maschera antigas. Però alla fine, quello che lui credeva sarebbe stata una liberazione, si rivela essere una schiavitù al contrario. Diventa pazzo.
Il significato alla fine qual è?
Bisogna imparare a condividere. Mettiamocela via, impariamo a farlo e vivremo tutti meglio.
Da cosa le è venuta questa idea?
Amo inventare e ascoltare storie. Ma io stesso avevo un problema di condivisione e quando ho capito che era meglio condividere, perché poi tutto torna indietro, mi sono reso conto che era un concetto che volevo e dovevo trasmettere.
Si aspettava di essere selezionato per il ‘LA Film Awards’? E’ un bel palcoscenico…
Non me lo aspettavo. Quando ho iniziato l’ho fatto per piacere personale. Ma ci ho lavorato sodo, in modo professionale, non ho ‘giocato’ a fare il regista. Ho studiato, pianificato la realizzazione del cortometraggio. Voglio dire… mi fa un piacere immenso che mi abbiano selezionato, ma credo anche di meritarlo un pochino.
La sua famiglia che ruolo ha in tutto questo?
Io sono figlio d’arte. Mio padre (Ruggero Roan) è un fotografo conosciuto e apprezzato e ha collaborato nel mondo della regia in film importanti. Io sono cresciuto al suo fianco. Quando ho presentato il progetto ai miei genitori e ho chiesto loro i mille euro per finanziarlo, mi hanno fatto ‘pesare’ ogni singolo centesimo. Ma non tanto per una questione economica, anche se siamo una famiglia che ha un grande rispetto per il danaro. Me li ha fatti pesare soprattutto per capire quanto motivato ero io nel portare avanti il mio progetto.
Ha dimostrato loro che ne è valsa la pena…
Io ce la metto tutta. Ora sono all’inizio, ma penso di aver trovato la strada che fa per me. Ed è stato proprio quando ho imparato a fare quello che prima evitavo: ho capito che bisogna condividere.
Anna Bianchini