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Thiene. Tra migranti e attentati, Europa in crisi perenne. “Italia la nuova Libia”

Giovani che si interessano dei grandi temi come non sanno fare gli adulti. Giovani con il fermento della mente che vuole interrogarsi per ricevere risposte da chi sa ed ha i titoli per farlo. La crisi dell’Europa al centro della conferenza che si è tenuta al Fonato di Thiene, organizzata dall’associazione ‘Fuori Onda’.

Un tema spinoso che, sotto il profilo tecnico e politico, i giovani dell’associazione di Thiene hanno reso fruibile alla platea dell’auditorium di Thiene, grazie alla presenza di due relatori di eccezione: Lorenzo Castellani professore di European Institutional History alla Luiss Guido Carli di Roma e Alessandro Aresu, analista geopolitico e saggista su Limes, con consulenze alla presidenza del Consiglio e al ministero degli esteri.

Tanta la partecipazione del pubblico,  che ha riempito una seconda sala, quella delle opere parrocchiali, collegata in diretta streaming, per analizzare e meglio comprendere i venti poco sereni che tirano sull’Europa.  “Al centro di questa serata affrontiamo l’aspetto geo-politico della crisi dell’Unione Europea, per capire quali fattori ne influenzano il cammino – spiega Emilio Grazian presidente dell’associazione apartitica Fuori Onda – Le sfide che sta affrontando nella crisi dei migranti e della sicurezza comunitaria. Con Castellani ed Aresu parliamo del rapporto tra istituzioni comunitarie e stati nazionali, tra direttive ed imposizioni che generano il classico ‘Ce lo impone l’Europa’, per capire se quanto viene richiesto sia utile alla struttura dell’Unione”.

castellani aresu fuori onda serata

Dalla Brexit, all’Europa ‘ce lo chiede’, fino ad arrivare alle gestione dei flussi migratori, oltre alla sicurezza comunitaria più vacillante che mai, al centro della serata  voluta dai ragazzi di Fuori Onda le faglie che stanno minando l”indivisibilità’ dell’Europa.

Brexit. Che tirasse brutta aria in ‘casa Europa’ lo si sapeva da tempo. Col voto britannico ritorna a galla il poco feeling  che l’isola d’oltremanica provava per l’unione europa, mentre gli infruttuosi tavoli di accordo tra le due parti fanno prospettare un orizzonte scuro. Un ‘no deal’, l’uscita dell’Inghilterra senza accordo, porterebbe grosse ripercussioni finanziare nella terra della di Sua Maestà con una perdita di oltre 70 mila posti di lavoro, ma Londra resterebbe comunque una delle più grosse  piazze finanziarie europee. Perché al referendum abbia vinto la volontà dei britannici di chiudere con l’Europa lo spiega Castellani: “Perché è sempre stato un paese avanzato in termini economici, che si può permettere manodopera a basso costo, forte del grande flusso migratorio di cittadini degli altri stati europei, e non solo, stimato in 3,5 milioni di persone – continua – Bisogna anche ricordare che, sei mesi prima del voto britannico, è cominciata la serie di attentati da Parigi a Bruxelles: un peso psicologico che ha influito notevolmente il popolo inglese. Oltre a ciò l’impossibilità per gli inglesi di accettare una pseudo ‘sovranità’ dell’unione europea, che imponga le proprie direttive allo storico parlamento anglosassone”.
fuori onda serata

Rapporti tra stati comunitari: quale il più influente? “Non è la ‘taglia’ di uno Stato che ne influenza o determina il ‘potere’, ma la sua capacità di stringere alleanze, oltre ad un potere economico e tecnologico – approccia così Aresu la domanda posta da Grazian, in merito al malcontento generato, secondo l’opinione pubblica, dal peso diverso che alcuni Stati riescono porre in seno all’UE”. E resterà sempre un fine difficile fare emergere un interesse europeo, se prevarranno quelli di pochi e singoli Stati: “La Germania si presenta nel contesto europeo con forze proprie: la stabilità politico-istituzionale, il potere economico che le permettono di esercitare una grande influenza. Anche gli Stati del Gruppo di Visegrad, Polonia, Ungheria, Reppublica Ceca e Slovacchia, sfruttano le loro alleanze, imponendosi a contrasto delle direttive europee”.

L’Europa ce lo chiede. In una prospettiva comunitaria gli stati membri si trovano spesso con regole e direttive dell’unione europea che incrinano la produzione ed il mercato interno di un paese. Esempio limite  la riduzione di taglia della vongola, in uno scarto di 3 millimetri, che mise in crisi nera i pescatori: “Sono norme che regolano il mercato unito che creano forti attriti in tutta l’Europa – commenta Castellani – Le ingerenze dell’unione europea, dal punto di vista economico e giuridico, diventano un peso per quei stati che nel processo di condivisione delle riforme, non impongono le proprie priorità”. Cosa che l’Italia non fa, come ha spiegato Aresu: “Nei vincoli che la comunità europea impone, con parametri di correzione ai bilanci presentati, l’Italia sbaglia perché definisce poco e nulla le priorità, fallendo nell’impostazione di una strategia, trovandosi a sottostare ai vincoli dell’unione europea”.

Crisi migranti. “Il trattato di Dublino assunto dall’unione europea quale regolamento che stabilisce il flusso migratorio dei profughi, è insufficiente ad oggi – spiega Castellani – Risulta inefficace perché pensato in un’epoca che non è sicuramente quella che stiamo vivendo oggi, oltre alla diversità di popoli che migrano. Allora erano persone dell’est. La convenzione, ad oggi, è totalmente fuori dal tempo”. Prende così di petto gli esiti disgraziati dell’accordo di Dublino il professore dell’ateneo romano, che stanno triturando l’Italia nella gestione dei flussi migratori, mettendola in gabbia con un numero abnorme di migranti che si tiene per pochi spicci, mentre gli altri stati europei hanno innalzato le frontiere: “Siamo diventati un paese di destinazione e non più di transito -precisa Aresu – Grosse responsabilità in tal senso in capo ai nostri ministri.  Se gli altri stati membri considerano l’Italia la nuova Libia, non ne usciremo mai”.
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“A chi dice che i migranti di oggi sono delle risorse, con la battuta che ci pagano la pensione, posso solo esprimere il mio scetticismo – continua Castellani – Perché nel frattempo il nostro Stato spende soldi pubblici, i nostri, per dare loro dei servizi. Il multiculturalismo è finito: per una convivenza civile chi sceglie il nostro Paese deve adeguarsi, imparando come minimo a parlare la nostra lingua e per questo l’Europa dovrebbe dare dei fondi”.

Sicurezza comunitaria. “La sfida del terrorismo ai paesi europei evidenza la precarietà della democrazia negli stati membri, fuorviata da un’intelligence comunitaria che, a quanto condivisione, ha dimostrato spesso di non funzionare– spiega Aresu – Minandola fino a portare a reazioni impulsive. La comunità europea deve lavorare molto per vincere questa sfida. L’Europa è stata in ‘vacanza’ nell’ultimo ventennio, in termini di difesa. Per la nostra sicurezza dovremmo cominciare ad investire, perché fino adesso per noi, a pagare, ci ha pensato l’America”.

Paola Viero

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