Le luci ci sono. I mercatini di Natale anche. I bambini, davanti alle scenografie da fiaba, si fermano con gli occhi lucidi. Ma basta osservare attentamente i genitori per cogliere un dettaglio che fino a qualche anno fa era meno evidente: una preoccupazione sottile che si riflette nello sguardo mentre scorrono i prezzi esposti sulle lavagnette delle bancarelle. È il nuovo volto del Natale italiano: stupore per i più piccoli, calcoli rapidi e silenziosi per i grandi. Nell’Altovicentino, come in molte zone del Nord Italia, i mercatini di Natale sono una tappa quasi rituale. Visitati ogni weekend da migliaia di famiglie, regalano atmosfera, luci, profumi e piccole esperienze per i bambini. Ma dietro il fascino delle casette di legno decorate c’è un elemento che sempre più genitori iniziano a discutere: il costo, sempre meno “natalizio”, dell’esperienza.
I numeri lo mostrano con chiarezza
Un pomeriggio tra le bancarelle può significare 3 euro per un giro sul trenino, altri 3 per uno zucchero filato piccolo, 5 se grande, e altri 3 per una cioccolata calda con due biscottini. Cifre minime se prese singolarmente, ma è proprio nei micro-costi che nasce il problema. L’accumulo silenzioso di spese apparentemente inoffensive crea un ostacolo reale per molte famiglie. Una coppia con due bambini spende facilmente tra i 20 e i 35 euro in mezz’ora scarsa. Con tre figli, la cifra sale rapidamente verso i 50 euro, senza avere fatto nulla di più che vivere l’atmosfera: un giro sul trenino, una merenda dolce e poco altro. Una madre lo dice senza giri di parole: «Non vogliamo negargli la magia del Natale, ma non possiamo permetterci di farlo ogni weekend. Diventa un lusso». A queste spese dirette si sommano quelle indirette: il carburante, il parcheggio, la decorazione che inevitabilmente finisce nel sacchetto perché i bambini ci si affezionano, una pallina per l’albero che diventa “necessaria” per completare la collezione. Così un pomeriggio “gratuito” ai mercatini può trasformarsi in una spesa complessiva da 60 euro o più. Il punto non è accusare gli operatori. Dietro ogni casetta ci sono artigiani, lavoratori stagionali, produttori locali, addetti alla sicurezza, illuminazione e manutenzione. Gli investimenti necessari sono alti e partono mesi prima dell’apertura. Ma ciò che colpisce è la normalizzazione di un modello economico che frammenta l’esperienza in tanti piccoli pagamenti, trasformando una tradizione popolare in un percorso a ostacoli economico.
Secondo le associazioni familiari, la spesa di dicembre per un nucleo con due bambini è aumentata del 18% negli ultimi sei anni. Il potere d’acquisto, invece, è rimasto fermo o in alcuni casi si è addirittura ridotto. E mentre i prezzi dei mercatini crescono, la frequenza delle visite cala: «Quest’anno faremo un solo mercatino», racconta una famiglia vicentina. «Una volta ne visitavamo due o tre. Oggi scegliamo quello più vicino e stop».
In molti Paesi europei, per alleggerire il peso, vengono proposte formule family friendly: giri illimitati a costo fisso in alcune fasce orarie, merende calmierate per i bambini, attività gratuite organizzate da enti e associazioni. In Italia, questa riflessione culturale è ancora agli inizi. E allora la domanda che resta, dopo aver osservato i volti dei genitori e gli scontrini che riempiono le tasche, è semplice ma urgente: il Natale appartiene ancora a tutti, o sta diventando un privilegio per chi può permetterselo? È una domanda scomoda, certo. Ma necessaria, se vogliamo che le luci dei mercatini continuino a essere un simbolo di comunità e non l’ennesimo confine economico che separa chi può vivere la magia da chi deve limitarsi a guardarla da lontano.