Dietro le mura di molte case italiane si consuma un sacrificio quotidiano che resta spesso invisibile. È il lavoro silenzioso, incessante e totalizzante dei caregiver familiari: figli, figlie, mogli, mariti che si prendono cura di genitori anziani, figli disabili, coniugi non autosufficienti. Gesti d’amore che, giorno dopo giorno, diventano una vera e propria vocazione. Ma che troppo spesso si pagano a caro prezzo, in termini di salute, lavoro, vita sociale e diritti.
Un recente convegno tenuto all’Istituto Superiore di Sanità – promosso dal Centro di riferimento per la medicina di genere – ha fatto emergere con chiarezza un dato allarmante: quattro caregiver su dieci sviluppano malattie croniche che non avevano prima di iniziare a prendersi cura di un familiare. E in due casi su tre, si tratta addirittura di più di una patologia. Le più comuni? Disturbi psichiatrici come ansia e depressione, ma anche problemi muscolo-scheletrici, cardiovascolari e gastrointestinali.
L’indagine, condotta su oltre 2.000 caregiver, ha messo in luce come il peso della cura ricada in modo sproporzionato sulle spalle delle donne, che rappresentano l’83% del campione. Le più colpite sono le giovani donne, spesso in età lavorativa o con bambini piccoli, costrette a rinunciare non solo al lavoro ma anche a prendersi cura di sé stesse. A causa del carico di assistenza, molte caregiver rinunciano infatti a visite mediche, controlli e perfino ricoveri necessari.
“La cura degli altri non può significare la distruzione di sé”, ha sottolineato Elena Ortona, direttrice del Centro per la medicina di genere dell’ISS. “Le donne caregiver sono maggiormente esposte a problemi di salute fisica e psicologica. Per questo è urgente che le politiche sanitarie e sociali integrino una visione di genere nei loro interventi”.
Ma al di là dei numeri, sono le storie personali a raccontare meglio di ogni statistica cosa significhi essere un caregiver in Italia oggi. Storie di figli che assistono genitori con demenza, di madri che si dedicano 24 ore su 24 a un figlio con disabilità grave, di coniugi che rinunciano alla propria salute per garantire dignità al partner malato. Storie spesso segnate da solitudine, burocrazia, mancanza di tutele e aiuti economici inadeguati.
Oggi, in Italia, i caregiver familiari sono circa 8,5 milioni, ma la loro figura non è ancora pienamente riconosciuta dalla legge. Ci sono misure frammentarie, bonus occasionali, permessi lavorativi garantiti dalla legge 104, ma manca una legge organica e nazionale che dia un vero statuto a chi assiste un familiare in condizioni gravi.
Da anni le associazioni chiedono una legge quadro che riconosca diritti chiari: contributi previdenziali, accesso facilitato allo smart working, congedi retribuiti, sostegni psicologici e soprattutto servizi di sollievo (respite care) per evitare il rischio burnout. Eppure, le proposte avanzate in Parlamento si sono spesso arenate, mentre il tempo – per chi vive queste situazioni – continua a scorrere, consumando energie, affetti e speranze.
“Quando assisti un genitore con Alzheimer non è solo una questione di amore”, racconta Marco, 45 anni, caregiver da quattro. “È una battaglia quotidiana contro il tempo, la stanchezza, la burocrazia. Ma nessuno ti prepara a tutto questo. E soprattutto, nessuno ti protegge”.
Lo stesso vale per chi si occupa di un figlio con disabilità. La vita, da quel momento, cambia per sempre. “Diventi terapista, infermiere, avvocato, accompagnatore, educatore”, dice Chiara, madre di un bambino con paralisi cerebrale. “E ogni giorno combatti con l’INPS, la ASL, la scuola, i moduli, le scadenze, le visite. E tutto questo senza che nessuno ti riconosca nemmeno come lavoratrice”.
In Francia, chi si prende cura di un familiare per almeno 30 mesi ha diritto a un riconoscimento previdenziale pieno. In Germania esistono assicurazioni specifiche per i caregiver. In Spagna sono previsti contributi figurativi. L’Italia, invece, resta indietro.
“La legge sul caregiver familiare non è un lusso. È un’urgenza sociale”, ha ribadito Marina Petrini, responsabile scientifica del convegno. “Non possiamo più permetterci che la cura sia solo un fatto privato. Serve un sistema pubblico capace di riconoscere, tutelare e sostenere chi ogni giorno si prende cura degli altri”.
Intanto, però, la cura continua a ricadere sempre più spesso su chi ha meno strumenti per sostenerla: le donne, i giovani, chi non ha una rete familiare o economica forte. Un’Italia che cura, ma che resta senza cure. Perché chi ama, spesso, lo fa fino a consumarsi.
di redazione AltovicentinOnline