C’era una volta Thiene, il suo viale Europa e il grande magazzino dei sogni: Munari Giocattoli. Un posto dove ogni bambino, stringendo la mano di mamma o papà, sceglieva il suo desiderio di Natale. Quel camion rosso, la bambola con gli occhi che si chiudono, il trenino che girava senza fine. Un tempio dell’infanzia, di generazioni intere cresciute tra scaffali colorati e profumo di carta nuova. Oggi, al suo posto, solo fumo e silenzio. Fiamme alte fino a dieci metri hanno divorato i magazzini, mentre una colonna nera saliva verso il cielo come una cicatrice che non si cancella. Le sirene hanno squarciato l’aria, ma il rumore più forte è stato quello dei respiri trattenuti: i volti di chi guardava, incredulo, il Paese dei Balocchi bruciare. Davanti al fumo, i bambini tenevano le mascherine con le manine strette, gli occhi spalancati, le domande senza risposta. “Mamma, i giochi bruciano davvero?” Le madri non sapevano cosa dire, solo stringere più forte, cercando di proteggere da un dolore che non si spiega. Gli adulti, fermi ai bordi della strada, avevano lo sguardo di chi non vuole crederci. C’era chi aveva comprato lì i primi regali per i figli, chi ricordava la vetrina illuminata a dicembre, il profumo della carta da regalo che sapeva di festa. Un signore anziano, con il cappello calcato e le mani tremanti, guardava il fumo e mormorava: “Quanti Natali ho passato lì dentro.” E poi i dipendenti, arrivati di corsa, le lacrime negli occhi e il cuore fermo nel petto. Guardavano le fiamme crescere, consapevoli che ogni crepitio era una scatola che cedeva, un peluche che si scioglieva, un ricordo che si spegneva.
C’era qualcosa di innaturale nel vedere i giochi bruciare. Le ruote delle macchinine, le scatole dei puzzle, le bambole: tutte immagini di felicità, trasformate in cenere. L’odore del fumo si mescolava a quello della plastica e della carta: era l’odore amaro della fine dell’infanzia collettiva di una città. Perché Munari non era solo un negozio. Era un rito di passaggio, il luogo dove ogni bambino di Thiene aveva imparato a sognare. Era un punto fermo del Natale, della fantasia, della speranza. E oggi, nel pomeriggio che ha cambiato il cielo di Thiene, anche gli adulti si sono sentiti piccoli e indifesi. Il sindaco Giampi Michelusi è arrivato in fretta, insieme alla famiglia Munari, che in silenzio guardava bruciare una storia lunga decenni. Sul volto del titolare, lo sguardo di chi ha perso un pezzo di sé. Intorno, i vigili del fuoco — quaranta uomini, quattordici mezzi — combattevano da ore, muovendosi in ogni angolo della città per cercare acqua, perché non bastava mai. Il fumo continuava a salire, e con lui i ricordi di intere generazioni. Quando il crepuscolo è calato, la colonna di fumo era ancora visibile da chilometri. La gente si è fermata a guardare, come si guarda una ferita che non si riesce a toccare. “Thiene è sempre stata il Paese dei Balocchi”, dice qualcuno, “dove ogni bambino sapeva cosa chiedere a Babbo Natale.”
E oggi quel Babbo Natale sembra smarrito, con il sacco vuoto e lo sguardo perso tra le ceneri. Sui marciapiedi restano i volti di chi non riesce ad andare via. Una nonna piange piano, una bambina tiene in mano un piccolo peluche, ormai grigio di fumo. Un vigile del fuoco le si avvicina, le sorride dietro la maschera e le sussurra: “Lo salviamo, promesso.” In serata, il Comune ha chiesto ai cittadini di tenere le finestre chiuse. Il fumo bianco e nero si vedeva fino a Fara e Piovene, e tutta Thiene respirava la stessa paura. L’ARPAV ha avviato i controlli, mentre le forze dell’ordine hanno posto l’area sotto sequestro per accertare le cause del rogo. Ma questa sera, al di là delle indagini e dei numeri, resta un’immagine che nessuno dimenticherà: quella di una città ferma a guardare i suoi sogni bruciare, in silenzio, sotto un cielo che profuma di infanzia perduta.
Valentina Ruzza