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Sarcedo. “Non c’è mai stata droga nel bar”, parlano i gestori del ‘The Top’

“Mi sento offesa. Mi sono trovata il nome del mio locale invischiato in un presunto giro di droga, quando non è vero nulla”. A parlare è Gianna Pauletto, 69 anni,  titolare del ‘The Top’ di Sarcedo, balzato agli onori di cronaca per il barista denunciato per spaccio di droga.

Una donna minuta, ma dal carattere forte, Gianna è la mamma del 45enne barista, Simone Rivoli. Su di lui la Procura berica ha puntato gli occhi: sospetto il via vai di persone con le quali Simone Rivoli avrebbe avuto a che fare, dando il via a delle indagini, sfociate ieri nel blitz in via Dalla Chiesa.
“Ai miei figli ho sempre cercato di insegnare a comportarsi al meglio. Ho fatto molto per loro e se uno di loro sbaglia, è giusto che paghi. Ma non che buttino il fango addosso a tutti – si sfoga la titolare del locale, socia del bar sì con un figlio, ma un altro: Stefano e non Simone – Lui ci viene a dare una mano, ma come collaboratore.  E non è vero che i carabinieri sono entrati nel bar col cane, come non è vero che la droga è stata trovata dentro al mio locale”.

Sostanze stupefacenti, oltre al bilancino che sarebbe stato usato per spartirne le dosi, rinvenute grazie al fiuto del cane dell’unità cinofila dei carabinieri, arrivato ieri mattina da Torreglia, poco prima delle 9. “Sono andati nell’appartamento di mio fratello – spiega Stefano Rivoli, 39 anni che assieme alla mamma gestisce il bar, finito nell’occhio del ciclone dopo il blitz antidroga – Lì hanno trovato la droga che, a quanto mi risulta, Simone avrebbe consegnato anche spontaneamente”. In tutto, i militari dell’Arma,  hanno sequestrato, oltre al necessario per confezionare le dosi, circa 20 grammi di marijuana e circa 4 grammi di cocaina.

Madre e figlio, quelli che portano avanti l’attività, riferiscono di essere rimasti scioccati quando, sulla stampa locale, si sono trovati il nome del proprio locale associato ad un covo di spaccio: “Ma non è assolutamente vero. Siamo completamente estranei alla vicenda, che riguarda personalmente mio fratello Simone – continua Stefano – Ci sono rimasto male. In questo modo va rovinata la reputazione del bar che abbiamo aperto nel ’93”.

L’amarezza si vede soprattutto nel volto di Gianna: “L’altra notte non sono riuscita a chiudere occhio – continua – Una vita che lavoro, coi miei compaesani che mi hanno sempre portata in palmo di mano. Vedere ora come il locale viene trattato mi fa stare male. Dopo tutti i sacrifici che ho fatto, non è giusta una cosa così”.

Parole che Gianna Pauletto dice anche a fatica. Vedendosi costretta a difendere una “reputazione lesa”, ricordando ancora quei momenti che l’hanno stravolta. “Quando ho visto arrivare mio figlio Simone, dopo che alle 8.30 era stato invitato a presentarsi alla Stazione dei Carabinieri di Breganze, ancora non capivo cosa stesse accadendo. Stavo preparando i panini da servire ai miei clienti, quando poi l’ho visto dirigersi verso il suo appartamento. Dopo qualche minuto è entrato nel bar ed era agitato. Dietro a lui il maresciallo dei carabinieri – racconta, rivivendo quegli attimi che hanno preceduto la perquisizione condotta dal Nucleo Operativo della Compagnia di Thiene – Qualche minuto dopo sono arrivati ‘altri’ in divisa”. E’ il momento in cui entra in scena il cane antidroga: “Sono andati prima nell’appartamento di Simone, poi sono tornati fuori e sono andati in garage – spiega Stefano -Ma, lo ripeto, nel bar non sono mai entrati e quello che hanno trovato stava in casa di mio fratello”.

“Ho dei bambini piccoli, che frequentano la scuola e con le chiacchiere è un attimo che a loro possa venire detto che nel bar del loro papà si venda droga – conclude Stefano – E’ ingiusto tutto questo, perché non è vero: è una vicenda che, ripeto, riguarda mio fratello e non il bar mio e di mia mamma”.

“Mi sento offesa e umiliata” lo ripete in continuazione Gianna, cercando una sorta di protezione  in una coperta che si stringe addosso, facendosi ancora più piccola sul divano di casa sua. “Se mio figlio ha sbagliato che paghi. Ma che venga infangato il nome del mio locale, mi fa stare malissimo”. Non le ridanno pace, ma un po’ di conforto sì, le telefonate ricevute : “Persone che sanno chi sono, che hanno voluto darmi il loro appoggio – conclude Gianna Pauletto –  Chi invece ha puntato il dito contro me ed  il mio bar, senza sapere come siano andate le cose, si deve vergognare”.

Paola Viero

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