di Federico Piazza
La crescente diffusione della grande distribuzione commerciale è sotto gli occhi di tutti anche nell’Alto Vicentino. Specialmente a Schio e a Thiene, dove i supermercati aperti sette giorni su sette e la relativa metratura complessiva di spazi vendita, magazzini e parcheggi sono nettamente aumentati negli ultimi anni.
Molti consumatori apprezzano l’offerta di prodotti per tutte le tasche e la possibilità di fare la spesa negli orari più congeniali. Ma la crescita dei supermercati, in genere posizionati in periferia e nei centri commerciali, si accompagna al calo del numero di negozi alimentari di quartiere. Non solo i “casolini” stanno sparendo perché sembrano destinati alla chiusura pure quelli rimasti nei piccoli paesi, anche per una questione di mancato ricambio generazionale. Ma nel territorio hanno progressivamente chiuso pure diversi negozi di generi alimentari “indipendenti” di medie dimensioni. Lo sviluppo della grande distribuzione comporta inoltre ricadute sugli orari di lavoro e quindi sulla conciliazione dei tempi casa-lavoro del personale degli esercizi commerciali, che nei supermercati si deve adattare al modello organizzativo delle aperture a orario continuato tutta la settimana, comprese le domeniche.
Fondamentale per gli operatori dei negozi di prossimità che vogliono resistere alla concorrenza della grande distribuzione organizzata è distinguersi nell’offerta, sia come prodotti sia come servizio. A tal proposito Alto Vicentino Online ha raccolto la testimonianza di Mauro Maggio, titolare di supermercati in franchising affiliati alla catena Eurospar posizionati in quartieri residenziali di Thiene e Schio. Nati rispettivamente nel 1984 e nel 1992, per scelta della proprietà entrambi i punti vendita rimangono chiusi la domenica. Una peculiarità rispetto alla concorrenza.
Perché questa scelta “contro corrente” sulle aperture domenicali?
«Perché è sbagliato far lavorare il personale di domenica, sottoponendolo a turnazioni e cambi di orari che provocano stress e confliggono con le esigenze di dedicare tempo a se stessi e alla famiglia. La distribuzione alimentare non è un servizio di primo soccorso, che deve necessariamente essere sempre operativo. Con la liberalizzazione degli orari molti addetti del comparto si sono trovati con il contratto di lavoro cambiato, e le relazioni di famiglia sono state mandate all’aria. Io, che lavoro in negozio dieci ore al giorno, trovo giusto che la domenica una mamma con due figli stia a casa e che i dipendenti possano avere degli orari di lavoro organizzati tenendo conto delle loro esigenze».
Ma dopo la liberalizzazione degli orari nel 2011 avete considerato l’apertura domenicale?
«Ovviamente sì, abbiamo ponderato l’ipotesi. Ma abbiamo scelto di non seguire il trend. È una questione di valori, non ci sono solo i soldi nella vita. In zona siamo gli unici negozi di alimentari con superficie di vendita dai 1000 metri quadri in su chiusi la domenica. E i numeri ci stanno dando ragione, anche economicamente, perché tenere aperto sette giorni su sette non significa necessariamente aumentare i ricavi, bensì distribuirli su più giorni aumentando comunque i costi e lo stress del personale. I nostri collaboratori devono innanzitutto stare bene sul lavoro, che è essenziale per relazionarsi in maniera empatica e costruttiva con i clienti».
Quindi nessun problema a trovare personale?
«Nessuno. Chi lavora con noi resta con noi. Siamo in 35, tutti dipendenti diretti. Anzi, abbiamo assunto persone che non si trovavano bene in altre realtà».
Che tipo di clientela avete?
«Clienti esigenti che ci scelgono perché lavoriamo sulla qualità del prodotto anche dal punto di vista salutistico. Per esempio, puntiamo molto sul biologico e sulla gastronomia con cucina interna gestita da due cuoche professioniste che sfornano piatti pronti fatti con ingredienti freschissimi senza additivi e conservanti. E c’è pure chi fa la spesa da noi perché apprezza il rispetto che abbiamo per i nostri collaboratori con la chiusura domenicale».
Come vede il tumultuoso sviluppo locale della Gdo di questi anni?
«Manca equilibrio, e la colpa è della politica che non vuole gestire l’economia. La grande distribuzione alimentare ha una grande potenza finanziaria propria per sostenere gli investimenti in nuovi punti vendita, generata dal flusso di cassa attivo tra incassi immediati e pagamenti dilazionati ai fornitori. E l’ambizione di ogni gruppo è di crescere, soprattutto i discount che possono permettersi una guerra commerciale. Ma non è detto che questo sistema reggerà, anche perché non abbiamo davanti prospettive di crescita dei consumi alimentari della popolazione. Quindi, in mancanza di una regolazione politica equilibrata, prima o poi alcuni di questi punti vendita dovranno chiudere. Nel frattempo ogni azienda è convinta di essere la più brava nel perseguire i suoi obiettivi di crescita: ciascuno ingrassa il pollo per vendere in futuro il pollo grasso.
Inoltre, a livello locale la politica è allettata dal fatto che i gruppi della Gdo si assumono oneri di urbanizzazione quando realizzano un nuovo punto di vendita, come per esempio la costruzione di strade e rotatorie. Ma non si rende conto che poi molti di questi operatori lasciano sul territorio come valore economico solo gli stipendi del personale, e raramente fanno lavorare fornitori locali».