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Quell’esodo silenzioso: la storia dell’emigrazione veneta

L’emigrazione veneta non è solo una storia di numeri, ma una ferita collettiva che ha modellato l’identità di una regione. Un esodo silenzioso, raramente celebrato, ma inciso nella carne viva di generazioni intere. E ricordarlo oggi non è solo un dovere storico: è un atto di giustizia verso chi ha vissuto, in silenzio, l’amara scelta di partire.

 In particolare, la storia dell’emigrazione veneta – quella “velatamente” occultata o marginalizzata nei programmi ufficiali – è un capitolo doloroso, ma fondamentale per comprendere le radici di milioni di famiglie sparse oggi in ogni angolo del mondo.

Dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866, un evento storico accolto con freddezza da una parte consistente della popolazione, iniziò un fenomeno che avrebbe cambiato per sempre il volto della regione: l’emigrazione di massa. In soli 24 anni, più di 1.385.000 veneti lasciarono la loro terra, su una popolazione di 2.800.000: la metà. Un dato impressionante, che riflette non solo l’impoverimento della regione, ma anche lo smarrimento identitario e culturale che seguì all’unificazione.

I numeri

Le proporzioni dell’esodo parlano chiaro. Tra il 1876 e il 1880, partirono 35 veneti per ogni siciliano, 41 per ogni pugliese. Un trend che si mantenne anche nei decenni successivi: tra il 1881 e il 1890 furono 12 i veneti per ogni siciliano, 25 per ogni pugliese, 125 per ogni umbro. Tra il 1891 e il 1900, 18 per ogni pugliese, 25 per ogni laziale, 39 per ogni sardo. Nessun’altra regione italiana conobbe un esodo di proporzioni così vaste.

A spingere i veneti a partire non fu solo la povertà, ma anche l’illusione – o la speranza – di una vita migliore altrove. Il Sud del Brasile, in particolare, accolse ondate di migranti che portarono con sé non solo braccia forti, ma anche lingua, cultura e identità. Oggi, in Rio Grande do Sul, si parla ancora il “tałian”, variante del veneto riconosciuta ufficialmente nel 2014 come lingua minoritaria e patrimonio immateriale del Brasile.

Molti di quei migranti erano contadini, artigiani, manovali. Persone che non avevano mai lasciato il proprio paese natale e che si imbarcarono verso l’ignoto con un bagaglio pieno di sogni e di canti. Uno di questi, datato 1896, recita: “América América…si campa a meraviglia…andiamo nel Brasile con tutta la famiglia…

Un inno ingenuo, ma profondamente umano, che testimonia la voglia di ricominciare. La “loro America” non era solo una terra promessa, ma un’opportunità per sfuggire a un’Italia che per molti non fu mai davvero “patria”.

Oggi, si stima che oltre 10 milioni di persone nel mondo siano di origine veneta. Molte di loro, pur nate altrove, conservano con orgoglio il dialetto, le usanze e le tradizioni dei loro nonni. In Brasile, Argentina, Uruguay, ma anche negli Stati Uniti, in Canada, in Australia. Piccole “Venetie” oltre oceano che continuano a parlare di radici, appartenenza e memoria.

fonte Anima Veneta (foto di una famiglia italiana in partenza)

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