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Il vero imbroglio sul finanziamento pubblico dei partiti

In vista delle elezioni del 4 marzo i partiti stanno organizzando le liste e…facendo i conti. Le casse sono vuote dopo la fine del finanziamento pubblico e ci si deve arrangiare. Uno dei modi,non proprio eleganti,è quello di chiedere contributi sostanziosi (dai 30 ai 40 mila euro) ai candidati in lista in collegi considerati sicuri o in posizioni sicure nel listino proporzionale bloccato. La storia del finanziamento dei costi della politica ha spesso infiammato gli animi ed indignato l’opinione pubblica:a volte a ragione,altre decisamente a torto. Ma come si è svolta questa storia che puntualmente si ripropone?
La politica ha sempre avuto bisogno di risorse per finanziare i suoi costi. Fino al 1974 esisteva un mercato illegale e “nero” dove il flusso dei finanziamenti avveniva attraverso le grandi imprese per i partiti di governo, attraverso l'”oro di Mosca” per il Pci. Nel 1974 viene emanata la prima legge sul finanziamento pubblico (nota come legge Piccoli dal nome dell’on. Flaminio Piccoli). Prevede un finanziamento pubblico fino ad un massimo di 7,5 milioni di euro ai partiti che ottengono almeno il 2% dei voti. Con una successiva legge del 1981 il finanziamento è raddoppiato. Nel 1993 in piena Tangentopoli il referendum per l’abrogazione della legge ottiene il 90% di Sì, ma pochi mesi dopo Giuliano Amato,allora presidente del Consiglio, con l’appoggio di quasi tutto il Parlamento, vara una nuova legge. Questa introduce il rimborso spese elettorali: il contributo è di 1600 lire per il numero di abitanti dell’ultimo censimento. In tutto 47 milioni di euro.
Nel 1997 (Governo Prodi) il Parlamento introduce la possibilità di devolvere ai partiti (senza indicarne uno) il 4 per mille del proprio reddito fino ad un massimo di 82 milioni di euro.
Nel 1999 (Governo D’Alema) vengono introdotti ben 5 distinti rimborsi elettorali:uno per le elezioni della camera,uno per le elezione del Senato, uno per le elezioni Europee,uno per le elezioni regionali, per un totale massimo di 193 milioni di euro annui nel quinquennio.
Nel 2002 (Governo Berlusconi) il valore del rimborso cambia: mentre prima si era fermato alle 4.000lire (ma nel 93 erano 1600!!) a partire dal 2002 passa a 5 euro (quasi 10 mila vecchie lire, piu’ del doppio).
Ricapitoliamo le risorse del finanziamento ai partiti.
1974 7,5 milioni di euro
1982 15 milioni di euro
1993 47 milioni di euro
1997 82 milioni di euro
1999 193 milioni di euro
2002 469 milioni di euro
A partire dal 2006 l’erogazione è dovuta ogni anno,per 5 anni,anche in caso di cessazione anticipata della legislatura.
Il Governo Letta ha abolito il finanziamento pubblico(a partire dal 2016) sostituendolo con la possibilita’ del cittadino di devolvere il 2 per mille dei suoi redditi al partito preferito.
Ma guardiamo quello che è successo tra il 1994 ed il 2008,confrontando le spese dichiarate ammissibili al finanziamento ed il contributo ricevuto.
ELEZIONI POLITICHE 1994 36 milioni euro (spese riconosciute) 47 milioni (contributo concesso)
ELEZIONI POLITICHE 1996 20 milioni euro(spese riconosciute) 47 milioni (contributo concesso)

ELEZIONI POLITICHE 2001 50 milioni euro(spese riconosciute) 476 milioni(contributo concesso)
ELEZIONI REGIONALI 2005 62 milioni euro(spese riconosciute) 208 milioni(contributo concesso)
ELEZIONI POLITICHE 2006 122 milioni euro (spese riconosciute) 500 milioni (contributo concesso)
ELEZIONI POLITICHE 2008 110 milioni euro (spese riconosciute) 503 milioni (contributo concesso)
Considerando anche le elezioni europee del 1994,del 1999, del 2004 in tutte le tornate elettorali svoltesi tra il 1994 ed il 2008 le spese riconosciute sono state pari a 579 milioni di euro ed i contributi concessi ai partiti sono stati pari a 2253 milioni di euro, quattro volte di piu’.
Questa e’ l’essenza del problema: il finanziamento reale e’ stato molto piu’ grande del costo sostenuto per la campagna elettorale.
Il Governo Letta ha ,come dicevo prima, abolito il finanziamento pubblico a partire dallla fine del 2016 ,sostituendolo con la possibilita’ del cittadino di devolvere il 2 per mille dei suoi redditi al partito preferito. Il costo è stato di 11,7 milioni annui nel 2016 con solo il 2,38% dei contribuenti che ha optato per la scelta. (fonte Agenzia delle Entrate)
UNA CONSIDERAZIONE FINALE. Certo questa classe dirigente della seconda repubblica da qualche anno agonizzante, ha fatto di tutto per alimentare il vento pericoloso dell’antipolitica che magari poi vorrebbe un uomo solo a decidere per tutti: così certamente il costo della politica sarebbe azzerato. Ma non mi parrebbe una buona soluzione.
Se invece pensiamo-ed io ne sono fermamente convinto-che la politica è fondamentale, che serve soprattutto alle persone più deboli (i forti si sanno difendere da soli e anzi vorrebbero togliere di mezzo la politica come i fatti di questi ultimi 25 anni dimostrano) allora si deve fare un ragionamento su come sostenerla e riformarla.
Penso alla necessità di un nuovo status giuridico per i partiti,che preveda l’obbligo della certificazione dei bilanci;ad un finanziamento elettorale basato solo sui costi realmente sostenuti all’interno di un tetto massimo di spesa (per capirci non i 2,25 miliardi delle elezioni politiche,europee e regionali del periodo 1994/2008 ma un rimborso parziale delle spese sostenute nelle elezioni e comunque con un tetto massimo attorno ai 50 milioni di euro milioni realmente ammissibili;ad una riduzione dei costi degli apparati della Camera,del Senato e delle Regioni per evitare che un barbiere a Montecitorio (ma che ci fa?) guadagni 160 mila euro all’anno.

Alberto Leoni

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