di Valentina Ruzza
La cucina di Barruche Tchoupou non si può spiegare solo con gli ingredienti o le tecniche. È un mosaico di radici e percorsi, di intuizioni e visioni. È fatta di mani stanche che hanno imparato a fare, ma anche di occhi curiosi che non smettono di guardare oltre. Classe 1995, origini camerunensi, cittadino italiano, Barruche oggi guida con energia gentile la cucina del Ristorante La Laguna di Jesolo, un luogo dove l’Adriatico incontra l’istinto e il colore delle verdure di stagione prende la parola. La sua storia comincia all’Istituto San Gaetano di Vicenza, dove si diploma nel 2014. Ma il vero inizio è un’intuizione: quella di un professore che lo spinge a partire subito per la sua prima stagione all’Hotel Greif di Corvara. Un’esperienza d’impatto, in alta montagna, dove si impara davvero la disciplina di una brigata.
Tornato nel Vicentino, lavora in alcune cucine che hanno fatto la storia del territorio – come il Garibaldi sotto la gestione di Lorenzo Cogo, il Buganie e Villa delle Rose – affilando tecnica e carattere. Ma il vero cambio di passo arriva nel 2021, in Francia. Viene accolto nella cucina del tre stelle Michelin Mauro Colagreco, e lì tutto cambia. “Ho capito che non volevo solo cucinare: volevo raccontare qualcosa di mio, attraverso ogni piatto.” Seguono una tappa intensa a Dubai, con lo chef Leonel (una stella Michelin), e poi Bruxelles, al due stelle Chalet de la Forêt, dove il confronto con il sous chef Simon lo porta a una vera e propria illuminazione. “Con Simon ho ritrovato tanto di me. La sua era una cucina istintiva, anche un po’ folle. Verdure a profusione, ortaggi declinati in mille forme, il pesce che diventava scenario per esprimere la terra. Ricordo un piatto con l’universo zucchina: tagli, cotture, colori. È lì che ho capito chi ero. Lavoravamo dalle 8 del mattino alle 2-3 di notte. Ma dopo tanta fatica, ti arriva chiara la direzione da prendere.”
E così, quando approda a Jesolo, sente di aver trovato finalmente il luogo giusto. La Laguna diventa il suo palcoscenico quotidiano. “Amo lavorare con ingredienti genuini, verdure fresche, erbette spontanee, carne o pesce ma sempre a chilometro zero. Qui chi viene in vacanza cerca piatti leggeri, vivi. Io voglio che ogni piatto sia stagionale, spontaneo, colorato. E sì, anche un po’ emozionante.” La sua cucina è dichiaratamente istintiva. E si percepisce in ogni piatto del menù degustazione che abbiamo avuto il piacere di assaggiare.
Non è un menù costruito a tavolino per stupire, ma un percorso che accompagna. Ogni piatto è un frammento di vita, una parola del suo vocabolario personale. Si comincia con la tartare di pescato del giorno in gazpacho tzatziki: un antipasto che sa di sale e freschezza, che apre con leggerezza e profondità. Segue il dentice mantecato con insalata riccia e cialda di tapioca al nero, una sinfonia di consistenze che riporta al rigore francese con l’anima del Mediterraneo. Le cappesante scottate con piselli, porro trancio e bacon sono un abbraccio tra dolce e affumicato, tra terra e mare. Il risotto ai crostacei, con tartare di gamberi viola, burrata e lime, è forse il piatto più rivelatore: cremosità, sapidità, un colpo di lime che solleva tutto e lo rende vivido.
Poi arrivano i gamberi scottati con salsa all’arancia e zenzero, mandorle tostate: agrumato, speziato, croccante. Un finale salato che lascia il segno. Chiude il percorso un dessert leggero, sussurrato, che non chiude ma accompagna con grazia l’ultima forchettata.
Barruche non si limita a pensare i piatti: li sente. E li affida a una brigata che, ogni giorno, riesce a trasformare almeno l’80% delle sue intuizioni in realtà. “Il piatto che preferisco? Quello che non ho ancora inventato. Mi piace ragionare d’istinto, ogni giorno è un’idea nuova.” E quando guarda avanti, non ha dubbi: “Tra dieci anni mi vedo in una cucina tutta mia. Essenziale, sincera. Dove si mangia bene, si parla poco e si lavora con le mani nella terra.