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La mancia diventa obbligatoria? Il dibattito che divide la ristorazione

Un 5% fisso in più sul conto, da destinare interamente al personale di sala. È la proposta di Piero Pompili, restaurant manager del rinomato ristorante Al Cambio di Bologna, che sta accendendo il dibattito nel mondo della ristorazione italiana. Una proposta che, a detta dello stesso Pompili, non vuole essere provocatoria ma necessaria: “Se non cambiamo qualcosa, molti locali chiuderanno entro cinque anni. I ristoranti si reggono sulle persone, non solo sui piatti”.

La mancia obbligatoria esiste già in diversi Paesi: negli Stati Uniti, in molti locali, è attesa se non addirittura automatica; in Francia, spesso è inclusa nel servizio. In Italia, però, resta una pratica volontaria, non regolata e spesso incerta. Pompili spiega che l’obiettivo non è trasferire sul cliente il costo del personale, ma offrire un’integrazione simbolica , e allo stesso tempo concreta , a stipendi che spesso si aggirano sui 7/8 euro netti all’ora. “Un giovane oggi, per uno stipendio del genere, deve sacrificare la propria vita. È disumano”, afferma.

Il problema, secondo molti ristoratori, è strutturale: mancano lavoratori, specialmente giovani, sempre meno disposti ad accettare i ritmi massacranti e la precarietà di un settore che per decenni si è basato su turni infiniti e paghe basse. L’epoca in cui a 13 anni si faceva la stagione al mare con 14 ore di lavoro è finita, e oggi la ristorazione,  per attrarre forza lavoro,  deve garantire più dignità, più formazione e stipendi adeguati. Ma c’è un ostacolo: per pagare buste paga da 3.000 euro lordi al mese, un datore di lavoro arriva a spendere fino a 4.800 euro. “Costi insostenibili per la maggior parte dei locali italiani”, osserva Pompili, che però non si limita alla teoria. Nei ristoranti gestiti da Marco Bizzarri, ex CEO di Gucci, è già attivo un sistema di mancia automatica del 10%, ben specificata sul conto e redistribuita ogni mese tra i dipendenti. “Si può fare”, ribadisce Pompili.

La proposta divide: da una parte c’è chi la vede come un’ancora di salvezza per un settore in crisi; dall’altra, molti temono che sia solo una “toppa” a un problema più grande. C’è anche chi critica l’idea in sé: imporre una mancia, dicono, toglie valore al gesto volontario del cliente e può essere percepita come un costo nascosto, soprattutto in un momento in cui mangiare fuori è già diventato più caro. Altri sollevano dubbi su come verrebbero distribuiti questi fondi: chi garantisce che vadano davvero al personale? Con quali regole e quale trattamento fiscale?

In ogni caso, il tema ha avuto il merito di riportare al centro della discussione la condizione dei lavoratori della ristorazione. Tra salari stagnanti, contratti inadeguati e orari ancora spesso fuori norma, la mancanza di personale qualificato non è solo un effetto della pandemia o delle mode passeggere, ma il segno di una crisi profonda. Una crisi che va affrontata con una visione più ampia, che includa anche riforme fiscali, semplificazioni burocratiche e incentivi reali per chi investe nel capitale umano.

N.B.

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