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Inginocchiarsi: ecco che cosa significa

a cura di Andrea Nardello

In ginocchio

Nella lingua italiana l’espressione “in ginocchio” rappresenta principalmente delle accezioni di sconfitta e sottomissione. Viene definito come locuzioni piegare, flettere un ginocchio o le ginocchia; sentirsi piegare le ginocchia per debolezza o paura, umiliarsi, fare atto di sottomissione; in ginocchio, come locuzione avverbiale, per indicare la postura della persona che si regge sulle ginocchia piegate a terra, per devozione, per punizione, per atto di preghiera, di sottomissione, di umiltà.

Viene usato sia nel significato proprio, per es. nel linguaggio sportivo “mettere in ginocchio l’avversario”, sia in senso figurato, inginocchiarglisi davanti per manifestargli riconoscenza o per implorare una grazia, il perdono.

Fonte Treccani

Cenni di storia

Da sempre gli uomini impongono la propria forza sugli animali, schiacciandone il corpo per impedirne i movimenti. Si è fatto così, per secoli, in uno dei più importanti riti contadini, l’uccisione del maiale.

In Grecia il ginocchio ha un’importanza speciale, basta osservare quante volte ricorre in Omero. Le ginocchia – prima di tutto – sono elemento essenziale del rito della supplica: bisogna abbassarsi per abbracciarle e per baciarle (e nel frattempo si può sfiorare e accarezzare il mento).

Nell’Iliade, questa articolazione delle gambe appare spesso nelle scene di combattimento; un guerriero “mosse i veloci ginocchi per fuggire”; un altro “cadde in ginocchio e si appoggiò al suolo con la mano robusta”; l’espressione “sciogliere le ginocchia” ricorre più volte per indicare la conseguenza di una ferita mortale.

Ciascuna parte del corpo ha una sua morfologia naturale che, a sua volta, suggerisce un numero (limitato) di “tecniche del corpo”. In base ad esse, attribuiamo a questa o a quella parte una maggiore o una minore espressività; la mano ne è carica più del piede (che non ne è affatto privo), il volto più della mano. Il ginocchio ha la sua: è quella della forza, della costrizione, della minaccia. Non è casuale che nella Grecia antica gli schinieri – gli elementi dell’armatura destinati alla protezione della zona inferiore delle gambe – presentassero a volte – proprio in corrispondenza del ginocchio – il volto spaventoso e terribile della Gorgone.

Posare il ginocchio a terra, invece, significa annullare la sua forza, rinunciare al movimento, dichiarare la propria intenzione di non nuocere. L’atteggiamento è sottinteso nel rito antico della supplica ed è ben presente nel mondo romano come segno di resa dei barbari sconfitti; ma è col cristianesimo che entra definitivamente nel codice della cultura occidentale. Il gesto appare nei vangeli come sinonimo di implorazione: “venne a lui un lebbroso e, buttandosi in ginocchio, lo pregò dicendo (…)” (Marco 1:40).

Come ci si inginocchia? Lo chiarisce, se ce ne fosse bisogno, un altro passo evangelico, quello della derisione di Cristo da parte dei soldati romani (Marco 15:19): “e gli percotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, mettendosi in ginocchio, si prostravano davanti a lui”; il testo greco (tà gónata) e quello latino (genua) chiariscono che si trattava di tutte e due le ginocchia. Questa, infatti, è la forma più completa di sottomissione e di supplica: l’iconografia cristiana ci offre innumerevoli figure di santi in questa posizione, in preghiera da soli nel deserto o davanti alla Vergine Maria.

Esiste però un’altra maniera di inginocchiarsi, ed è proprio quella che in questi giorni abbiano visto nelle manifestazioni e nelle celebrazioni seguite alla morte di George Floyd: inginocchiarsi su una sola gamba. C’è differenza?

I gesti non sono traducibili in parole (come pure ci piacerebbe), ma è del tutto evidente che questo è un inginocchiarsi a metà: è un rendere onore, è un celebrare, ma non è un totale sottomettersi, neppure un venerare.

Da tempo, insomma, il gesto è uscito dall’ambito religioso; ecco perché negli Stati Uniti, già prima dei fatti di Minneapolis, è comparso più di una volta sui campi di football, durante l’esecuzione dell’inno nazionale; mentre tutti sono in piedi e con la mano sul petto, gli atleti inginocchiati introducono una secca discontinuità: celebrano così le vittime del razzismo e trasformano il gesto antico in segno di protesta non-violenta.

Cenni nella cultura 

Nel Trecento un Tacuinum sanitatis (una sorta di manuale di medicina) mostra come Mithra, un dio orientale venerato in tutto il mondo romano durante l’età imperiale, sgozza il toro puntandogli il ginocchio sul dorso.

l miniatore descrive due uomini che macellano il suino, mentre il norcino con un grembiule bianco lo sta ancora uccidendo; una donna si china in avanti per raccogliere il sangue (la tazza e il recipiente servono in cucina per preparare i sanguinacci).

In una scena di Novecento (Bernardo Bertolucci, 1976) il rito che abbiamo visto nel manoscritto medioevale si ripete quasi identico; questa volta tre inservienti prendono per le zampe il maiale, poi interviene Olmo (Gérard Depardieu) con un grembiule bianco, preme il ginocchio destro sul ventre del maiale, e lo uccide.

Pensiamo il corpo come unità, ma lo avvertiamo anche come somma di più organi e di più parti. L’importanza di ciascuna di esse cambia a seconda delle latitudini e delle epoche.

Ciascuna parte del corpo ha una sua morfologia naturale che, a sua volta, suggerisce un numero (limitato) di “tecniche del corpo”. In base ad esse, attribuiamo a questa o a quella parte una maggiore o una minore espressività; la mano ne è carica più del piede (che non ne è affatto privo), il volto più della mano. Il ginocchio ha la sua: è quella della forza, della costrizione, della minaccia. Non è casuale che nella Grecia antica gli schinieri – gli elementi dell’armatura destinati alla protezione della zona inferiore delle gambe – presentassero a volte – proprio in corrispondenza del ginocchio – il volto spaventoso e terribile della Gorgone.

Nella Messa di Bolsena (1512), uno degli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, un gruppo di cinque giovani assiste all’evento miracoloso: sono i “sediarii”, gli uomini che avevano il privilegio di portare a braccio la sedia su cui si spostava il papa, la sedia gestatoria. Eleganti nell’abito e nel portamento, si inginocchiano, in maniera ben diversa rispetto ai porporati alle loro spalle, su un ginocchio solo.

Fonte: doppiozero.com

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