Un aumento del 50% rispetto all’ottobre 2022, momento in cui si insedia l’attuale governo, quando le carceri minorili ospitavano 392 minorenni e giovani adulti (meno del 3% del totale dei ragazzi complessivamente in carico ai servizi della giustizia minorile)”. Attualmente, ben 8 IPM su 17 sono afflitti da sovraffollamento, una situazione inedita. “In vari istituti – si legge nel report – abbiamo trovato i materassi a terra, condizioni igieniche estremamente degradate, celle chiuse quasi l’intera giornata e assenza di attività significative, perfino quelle scolastiche. Spesso non vengono garantite neanche le ore d’aria previste dalla legge. Molto elevato l’utilizzo di psicofarmaci. La crescita si è registrata in maniera particolare dopo l’entrata in vigore del decreto Caivano nel settembre 2023, che ha allargato la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare per i minorenni e ha ristretto l’accesso alle alternative al carcere”.
Dettagli sulla popolazione carceraria minorile
Dei 586 giovani reclusi, 355 (oltre il 60%) sono minorenni, per i quali in passato si sarebbero individuate soluzioni alternative alla detenzione; 53 sono ragazzi con meno di quindici anni e 302 hanno un’età compresa tra i 16 e i 17 anni. Il 63,5% delle presenze riguarda soggetti in attesa di una sentenza definitiva e, pertanto, presunti innocenti. Tale percentuale sale a quasi l’80% considerando esclusivamente i minorenni. I detenuti stranieri ammontano a 275, pari al 46,9% del totale. Di questi, il 76% proviene dal Nordafrica ed è costituito prevalentemente da minori stranieri non accompagnati.
Suicidi e condizioni detentive
Secondo il dossier di Ristretti Orizzonti, dall’inizio dell’anno si sono verificati 45 suicidi nelle carceri italiane, undici dei quali tra giugno e luglio. Questi sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto di metà anno di Antigone: “negli ultimi dieci anni solo nel 2024, l’anno con più suicidi in carcere di sempre, si è registrato un numero di casi superiore. Si tratta quindi di un numero in termini assoluti di gran lunga superiore agli anni passati, segno di un’emergenza ancora in corso”. Delle 45 persone che si sono tolte la vita, due erano donne, 22 di nazionalità straniera, quasi la metà del totale. La vittima più giovane aveva 20 anni ed è deceduta nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto a fine maggio, mentre la più anziana, di 70 anni, è morta a Genova Marassi a fine marzo. Come spesso accade, molti suicidi si sono verificati nelle fasi più critiche dell’ingresso e della fine pena. Almeno 17 persone si sono tolte la vita dopo un breve periodo di detenzione, cinque delle quali erano recluse da pochi giorni. Si registrano, inoltre, 16 casi di suicidio commessi da persone con una pena residua inferiore ai tre anni.
Da fonti di stampa emerge che almeno cinque delle 45 persone decedute soffrivano di disturbi psichici, almeno tre avevano un passato di tossicodipendenza e dodici erano senza fissa dimora. Quasi il 70% dei suicidi è avvenuto all’interno di sezioni a custodia chiusa e, in almeno quattro casi, le persone si trovavano in cella di isolamento, mentre in altri quattro nel reparto nuovi giunti. Nel corso del 2024 si sono registrati anche 7 suicidi di appartenenti alla Polizia penitenziaria, uno dei numeri più alti di sempre. E il 2025 non sembra promettere miglioramenti: dall’inizio dell’anno si sono tolti la vita a gennaio a Paola un impiegato delle funzioni centrali di 48 anni, a giugno a Porto Azzurro un sovrintendente di 58 anni e, sempre a giugno, a Secondigliano, un sovrintendente di 59 anni.
Autolesionismo e disturbi psichiatrici
Nel corso degli ultimi dodici mesi di monitoraggio, l’Osservatorio di Antigone ha rilevato una media di 22,3 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti (rispetto ai 17,4 registrati un anno fa) e 3,2 tentativi di suicidio ogni 100 detenuti (contro i 2,3 dell’anno precedente). I dati raccolti da Antigone indicano che il 14,2% delle persone presenti presenta diagnosi psichiatriche gravi, il 21,7% assume regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi e il 45,1% assume regolarmente sedativi o ipnotici, percentuali in crescita rispetto agli anni precedenti. I tossicodipendenti rappresentano il 22% dei presenti.
Spazio vitale nelle celle
Dalle 86 visite effettuate dall’Osservatorio di Antigone negli ultimi dodici mesi emerge che, nel 35,3% degli istituti penitenziari italiani visitati, non erano garantiti 3 metri quadrati di spazio calpestabile pro capite nelle celle. Tale percentuale era pari al 28,3% nel 2023. L’associazione lo rileva nel suo rapporto di metà anno, precisando che la quasi totale assenza di persone detenute in meno di 3 metri quadrati a testa, segnalata dal Garante dei detenuti, “si spiega con il fatto che l’Applicativo informatico spazi/detenuti (Asd) del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria esclude ‘dal calcolo della superficie delle stanze di pernottamento i locali adibiti a bagno annessi alle camere'”. Il risultato è che, “in termini esemplificativi, una cella disponibile di 9 metri quadri destinata a detenuti di media sicurezza, può ospitarne tre alla luce del parametro” adottato, ben diverso da quelli indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dai giudici italiani.
La Cassazione, ad esempio, specifica che “nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati da assicurare ad ogni detenuto vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello”. E dalla superficie della cella vanno sottratti anche gli altri mobili fissi (ad esempio, armadietti) e lo stesso tavolino. Di conseguenza, l’Italia viene sistematicamente condannata, dai suoi stessi tribunali, per violazione dell’articolo 3 della CEDU, principalmente a causa della mancanza di spazio vitale nelle celle, una situazione peggiore rispetto ai tempi della sentenza Torreggiani. In quel caso si parlava di circa 4.000 ricorsi pendenti con potenziale esito positivo, mentre oggi si contano oltre 4.000 ricorsi accolti ogni anno”.
Misure alternative e di comunità
Parallelamente all’aumento della popolazione detenuta, nel Paese si registra un incremento nel ricorso alle misure alternative e di comunità. Al 15 giugno scorso, secondo il rapporto di metà anno di Antigone, risultavano in carico all’Ufficio per l’esecuzione penale esterna 100.639 persone, circa 10mila in più rispetto al 2024, quando erano 90.181. Di queste, 49.736 stanno scontando una misura alternativa alla detenzione. La misura più applicata resta l’affidamento in prova al servizio sociale, che coinvolge, al 15 giugno 2025, ben 34.501 persone, rispetto alle 30.158 dell’anno precedente. Confrontando questi dati con la situazione pre-pandemica, al 30 giugno 2019 le persone in carico per misure alternative erano 30.261: l’aumento in sei anni è stato di circa il 40%. Particolarmente significativa è l’espansione della misura della messa alla prova, passata da 17.253 persone nel 2019 a 27.792 nel 2025.
“Tuttavia – spiega Antigone – nonostante la crescita delle misure alternative e di comunità, la loro applicazione risulta ancora fortemente sottodimensionata rispetto al potenziale. Al 30 giugno 2025, le persone detenute condannate con una pena residua inferiore ai tre anni sono 23.970. In astratto, e in assenza di cause ostative, una parte significativa di esse potrebbe accedere ad una misura alternativa. Ciò dimostra come, nonostante i segnali positivi, le misure alternative siano ancora largamente sottoutilizzate”.
Agi