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La retorica del 25 novembre e la violenza che nasce dalle parole: quando i social smentiscono le buone intenzioni

Ogni anno, il 25 novembre si ripete lo stesso rituale: istituzioni, brand, personaggi pubblici e migliaia di utenti ricordano la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Fiocchi rossi, slogan, campagne, post indignati e immagini simboliche invadono i social. Una mobilitazione necessaria, certo. Eppure, proprio sui social — il luogo dove questa indignazione si manifesta più facilmente — riaffiora in contemporanea la contraddizione più evidente: la violenza contro le donne non è soltanto fisica, ma vive e prolifera nelle parole. Nelle frasi dette e scritte ogni giorno, spesso in forma “minore”, quasi invisibile. E, cosa ancora più dolorosa, a volte sono donne contro altre donne.

La distanza tra retorica e realtà è lampante. Mentre scorrono i post che inneggiano al rispetto, basta aprire la sezione commenti di un qualsiasi contenuto che riguardi una donna — una politica, una sportiva, un’influencer, una vittima stessa,  per ritrovare il repertorio più tossico: insulti sessualizzati, giudizi sul corpo, delegittimazioni, accuse di “provocare”, insinuazioni sulla vita privata. Una violenza che non ha bisogno di lividi per ferire.

Ma non è solo il linguaggio degli haters dichiarati a rivelare il problema. Anche tra utenti comuni, spesso tra donne stesse, si consumano attacchi feroci, mascherati da opinioni. È la normalizzazione di un’abitudine culturale: quella di giudicare altre donne per scelte, aspetto, stile di vita, ruolo sociale. Il risultato è un ecosistema in cui la solidarietà femminile diventa fragile, intermittente, mentre la misoginia interiorizzata trova terreno fertile.

Il paradosso del 25 novembre, allora, è tutto qui: denunciamo la violenza più estrema, quella che ogni anno uccide decine di donne, ma ignoriamo o sottovalutiamo la radice che la alimenta. Le parole. Quelle dette per scherzo, quelle scritte con leggerezza, quelle che “non è un insulto, è un’opinione”. E che invece costruiscono il contesto in cui la violenza fisica diventa possibile, tollerata, giustificata.

Serve una responsabilità comunicativa, soprattutto online, dove ogni contenuto può amplificarsi in pochi secondi. Serve riconoscere che il contrasto alla violenza sulle donne passa anche dal lessico quotidiano, dal modo in cui raccontiamo e commentiamo la vita delle altre. Perché cambiare una società non è solo questione di leggi o campagne simboliche: è soprattutto questione di cultura.

E la cultura si costruisce  e si distrugge  con le parole.

Molti lettori ci hanno scritto per segnalarci faccine che ridono e commenti indecenti sotto un articolo delicato che riguarda un tema di grande attualità, come lo stupro. Non ci sono parole e non siamo certo dei giudici, ma da notare, oltre le risatine delle donne che abbiamo lasciato pubbliche e le battute sgradevoli, l’assenza di commenti da parte di chi magari è preso dai preparativi per la consegna al paese dell’ennesima panchina rossa. Solo una lettrice è intervenuta! A scioccare, come giustamente ci fanno notare i nostri lettori, non sono solo le frasi disgustose di maschietti, che ironizzano sul consenso necessario per avere un rapporto sessuale, ma le risatine di molte donne insospettabili, che anzichè indignarsi, fanno da spalla ai commentatori ignoranti. Ignoranti perchè nella frenesia di commentare e descrivere le condizioni del loro membro, non hanno nemmeno letto l’articolo. C’è ancora tanta strada da fare purtroppo…

la Redazione di AltovicentinOnline

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