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‘Il suicida non vuole morire’. Un milione di persone si toglie la vita, ma l’argomento è ancora tabù

La settimana scorsa  è stata  la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Per l’occasione l’agenzia di stampa Dire ha sentito telefonicamente  Maurizio Pompili, docente ordinario di Psichiatria la Sapienza Università di Roma, uno dei maggiori esperti sull’argomento. “La giornata nasce per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema di sanità pubblica molto grave- ha evidenziato Pompili- per cui si pensò di lanciare un’iniziativa a carico dell’international Association for suicide prevention nel 2003”.

Come si può definire il fenomeno del suicidio?

“Il suicidio- ha continuato- è un fenomeno multifattoriale, quindi contribuiscono tanti elementi a dettare il passo alla volontà di morire. Alla base di questo fenomeno così complesso possiamo identificare un dolore mentale che diviene insopportabile, fatto di un dialogo interiore, di emozioni intollerabili che fanno soffrire l’individuo e nell’ambito di queste sofferenze il suicidio si configura come la migliore soluzione per liberarsi dalle sofferenze. Il suicida non vorrebbe morire- aggiunge l’esperto- ma vorrebbe vivere ammesso che qualcuno o qualcosa allevi questa sofferenza così grave”.

Nonostante si registrino oltre un milione di suicidi l’anno, questo è ancora un argomento tabù…

“Il suicidio evoca stigma e tabù- ha spiegato il professore- Lo stigma è un marchio peggiorativo su qualcosa da cui dobbiamo stare lontano, ovviamente il suicidio evoca la morte, la fine della vita, qualche cosa di molto intimo. In realtà oggi si parla di prevenzione del suicidio quindi è un passo in avanti nell’ambito della salute pubblica- continua Pompili- che testimonia la volontà di vivere di soggetti a rischio di suicidio e l’opera di tantissime persone impegnate in un settore estremamente difficile e pieno di rischi, ma nello stesso tempo molto remunerativo dal punto di vista umano, perché salvare una vita è qualcosa di meraviglioso”.

Una delle tante difficoltà è quella di distinguere fra depressione e tendenza suicidaria.

“La depressione non è sinonimo di rischio di suicidio- ha sottolineato Pompili- è un elemento contribuente, ma non esclusivo. Per spiegare il rischio di suicidi bisogna entrare in sintonia con la sofferenza di quell’individuo che può essere fatta anche di tristezza immensa, ma che non è la depressione maggiore curata dallo psichiatra. Questo si può riconoscere entrando nei meandri più intimi di quella sofferenza, facendo delle domande e facendo un colloquio con molta empatia. Ovviamente in questo modo e con questa modalità il soggetto può aprirsi nel decodificare quegli elementi che lo fanno soffrire e quindi lasciare al professionista la possibilità di agire con i mezzi terapeutici, che possono essere farmaci, psicoterapia o altri interventi utili per la gestione di tale rischiosità”, spiega lo psichiatra.

 Quella del suicida può essere considerata una libera scelta?

“Il padre della suicidologia Edwin Shneidman- ha ricordato il professore- diceva sempre mai suicidarsi quando si è depressi perché non è mai una scelta libera nel momento in cui si ha poca lucidità. Ovviamente pensiamo che non sia una scelta libera là dove c’è una sofferenza mentale estrema che non fa vedere le possibilità di aiuto, che non fa pensare che ci siano persone atte a sostenere l’individuo, che possono dare amore, che c’è una famiglia, quando una persona entra in un tunnel in cui non vede altra possibilità che il suicidio non è libero, perché è delimitato da una sorta di costrizione cognitiva in cui non vede possibilità di soluzione per quella sofferenza”.

La pandemia ha inciso sul tasso di suicidi?

“All’inizio della pandemia- ha spiegato Pompili- fra esperti a livello globale abbiamo temuto che vi potesse essere un’impennata dei suicidi proprio per le criticità create dalla pandemia con solitudine, devastazione lavorativa, economica e tutto quello che stiamo ancora vedendo. Fortunatamente un anno dopo, facendo un resoconto a livello internazionale lì dove erano disponibili dati, abbiamo visto che questo aumento non c’è stato. Addirittura in rari casi c’è stata una diminuzione”. “Questo non significa che possiamo abbassare la guardia- avverte Pompili- ma che abbiamo fatto molto nel momento più di criticità. Abbiamo mandato messaggi pro vita che sostenevano gli individui in crisi, che potevano chiedere aiuto. Quindi, la prevenzione in qualche modo ha funzionato e questo significa che dobbiamo continuare in maniera ancora più propositiva su questa scia”.

Se in passato il suicidio era un fenomeno che colpiva le fasce più anziane della popolazione, oggi riguarda anche molti giovani...

“Negli ultimi 50 anni- ha continuato l’esperto- c’è stata effettivamente un’impennata nella fascia giovanile fino a diventare la seconda causa di morte dai 15 ai 29 anni. Molte spiegazioni possono esserci, ovviamente sono cambiati gli stili socio-culturali dei giovani e l’abuso di sostanze ha contribuito nelle maggiori possibilità di cimentarsi in attività ludiche non necessariamente benefiche. Si sono create molte situazioni che in qualche modo hanno aperto la strada a una certa instabilità, che non spiega il perchè ma tenta di dare una sorta di contributo per mettere un freno a tale problematica”.

Il professor Pompili ha dato vita, insieme ad altri, al portale www.prevenzionesuicidio.it in cui si affronta il tema da più punti di vista. “Abbiamo creato questo portale ormai diversi anni fa per essere un punto di riferimento informativo e formativo sulla problematica del rischio suicidio- precisa lo psichiatra- dando dei riferimenti anche di nozioni sui segnali d’allarme, su come cimentarsi nella rischiosità suicidaria, fare un update sulle pubblicazioni ed essere un elemento di interlocuzione con tutti coloro che volevano pensare alla prevenzione del suicidio in concomitanza anche con i social media”. L’account Facebook che “raccoglie oggi oltre 8 mila follower- fa sapere Pompili- testimonia la voglia di apprendere le nozioni sulla prevenzione e di cercare di fare rete fra tutti coloro che credono in quest’opera”.

Secondo lei come viene trattato l’argomento sui social media?

“Si parla spesso di effetto Werther- ha concluso- da ‘I dolori del giovane Werther’ di Goethe, romanzo dove l’eroe si suicida. Il libro fu censurato perché aveva dato vita a un escalation di suicidi dopo la pubblicazione. Oggi si parla di questo effetto quando i mass media riportano notizie sensazionalistiche di suicidi come fossero uno scoop, con caratteri cubitali, la foto del soggetto e frasi a effetto del tipo ‘aveva tutto dalla vita ma si è suicidato’. Ecco bisognerebbe invece creare una moderazione di tutto questo per rendere il suicidio un fenomeno meno eclatante dal punto di vista dello scoop giornalistico, ma descritto e riportato con i caratteri della prevenzione. Nel senso che si può essere aiutati, che la persona probabilmente si trova nell’ambito di una criticità nella quale non ha visto via d’uscita. Nella maggior parte dei casi si può, invece, dettare il passo alla prevenzione, indicare laddove la prevenzione e gli operatori sono disponibili. I mass media quindi possono fare tantissimo nella prevenzione del suicidio- conclude Pompili- rispettando delle linee guida internazionali che ora sono disponibili”.

 

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