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Quando la tendenza ad accumulare oggetti diventa patologia

a cura di Humanitas

Non sempre lasciare andare oggetti, ricordi e persone è facile. Vi sono casi in cui questa difficoltà diventa disfunzionale, al punto da tradursi in una patologica tendenza all’accumulo. Questa condizione è nota come disturbo da accumulo o disposofobia.

Ce ne parla la dottoressa Paola Mosini, psicologa e psicoterapeuta del Centro Psico Medical Care.

Tendenza all’accumulo: quali sono le cause?

Dal punto di vista evolutivo, mettere da parte risorse per i periodi di “magra” è una pratica che favorisce la sopravvivenza e offre un valore dal punto di vista fisico ancor prima che mentale.

Tenere cose per sé è completamente normale, così come collezionare o accumulare oggetti e ricordi. Vi sono casi in cui, però, questo atteggiamento diventa patologico, ovvero quando il bisogno di acquisire questi beni – senza peraltro utilizzarli o gettarli via – si traduce in una pesante limitazione delle attività di tutti i giorni, a partire dall’igiene, alla pulizia degli spazi, al riposo. Chi soffre di disposofobia tende ad accumulare senza freni, e non sembra curarsi del fatto che l’accumulo stesso riduca o persino impedisca di girare per casa.

Perché liberarsi degli oggetti può essere difficile

Nei casi patologici di compulsione di accumulo si sviluppa la paura di buttare via ciò che si colleziona. Vi è la tendenza a ripetersi che ogni cosa potrebbe rivelarsi utile un domani, perché potrebbe accrescere il proprio valore economico o affettivo.

Questo pensiero può diventare una guida che conduce dritta all’accumulo. Il rischio principale del rimanere vincolati a oggetti, situazioni e ricordi accade quando questo riduce lo spazio per le occasioni future.

I soggetti che hanno un disturbo da accumulo percepiscono un forte attaccamento emotivo nei confronti di oggetti, e avvertono il bisogno di mantenere una presunta forma di controllo su di essi, tanto da non accettare che nessuno li tocchi o li butti. Solo il pensare a cosa eliminare, in queste persone genera ansia e angoscia; il passaggio dal pensiero all’azione di fatto non viene mai attuato sia per il timore di prendere la decisione sbagliata, sia per l’incapacità a distaccarsi dagli oggetti, anche se poi vengono abbandonati nel degrado che spesso circonda chi ne soffre.

Tendenza all’accumulo: i campanelli di allarme

Ci possono essere alcuni segnali che i familiari possono notare che possono essere sufficienti per rivolgersi a uno specialista:

Un intervento precoce permette di prevenire l’aggravamento di condizioni cliniche sottosoglia che col tempo possono addirittura arrivare a compromettere il benessere psicologico di una persona e dei propri familiari.

Come intervenire in caso di disturbo di accumulo

In caso di un disturbo di accumulo, un intervento esterno, come quello di un convivente che decide di svuotare fisicamente la casa, non risulta utile e, anzi, scatena in chi ne soffre reazioni avverse.

Nonostante questa condizione implichi un disagio clinicamente significativo per i pazienti, i familiari sono coloro che, in genere, richiedono l’intervento, proprio perché spesso subiscono in prima persona gli effetti di queste condotte.

La terapia cognitivo comportamentale risulta essere il trattamento d’elezione: una parte della terapia dovrebbe includere una fase psicoeducazionale per il paziente, così da promuovere una maggior consapevolezza di malattia, ma anche per i suoi familiari.

È inoltre fondamentale poter far comprendere la presenza di una componente biologica nell’origine di tale disturbo: in questo modo si potrà cercare di riscattare, almeno in parte, l’immagine negativa del paziente che spesso si è strutturata nel tempo.

Un buon intervento deve partire dallo sviluppo di una solida alleanza terapeutica tra i soggetti coinvolti, cosa che permetterà di costruire un percorso mirato e con obiettivi condivisi.

Accumulo: i principali obiettivi di un percorso terapeutico

Un percorso terapeutico in caso di tendenza all’accumulo:

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