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Le “strope” del Bepo

Cammino di buon passo per la salita delle “sciave”. La luna rischiara quel po’ di nebbia che dalle narici e dalla bocca emetto in questo freddo. Ricordo il tempo con poche case sui fianchi di questa collina.

Ognuna con un po’ di vigna, un “cacaro”, una stalla ed un fumante “luamaro”. Oggi ormai le stalle sono chiuse e molte trasformate in garage per l’attigua villetta. Nel giardino di queste il “luamaro” di un tempo si chiama “composter”. Miracolo lessicale della raccolta differenziata.
Il viottolo che sto percorrendo diviene capezzagna; mi trovo davanti agli ordinati filari del vigneto del Bepo. Anche i vigneti sono cambiati, una volta erano solo pochi filari di “mericana” a bordo dei campi; oggi è coltura specializzata.
Bepo ormai è l’ultimo agricoltore rimasto in paese. Potava in vigna nel boom economico. D’estate all’alba guardava i vicini partire per il mare mentre mungeva. Emancipazione operaia. Oggi chi non è morto trascorre il suo tempo al bar. Bepo ancora tra la stalla e la vigna.
Inforco un filare. Le viti potate a capovolto sembrano uomini con braccia ricurve, pronte a caricarsi del peso dell’uva della nuova annata.  In fondo al filare la finestra accesa dal neon della stalla.
Tiro il portone. Bruna, la vacca più anziana, svogliatamente si gira a guardarmi. Un umido tepore ed un denso profumo di fieno mi invita ad entrare. Bepo grida un saluto, o forse vuole solo calmare una manza. E’ sull’angolo infondo, il più illuminato. Seduto su di una balla di fieno sta tagliando “le strope” per la potatura. Da quando ha perso la moglie è più taciturno. Ne ha una grande catasta; tutte fascine tagliate con luna crescente. Ora con anziana pazienza taglia i rametti separando quelli più fini dai grossi: I rametti fini detti “stropini” gli serviranno per legare i tralci, mentre i più grossi detti “stroponi” serviranno a legare i ceppi ai fili di ferro.
E’ stato Bepo ad insegnarmi a potare e legare le viti utilizzando le “strope”. Quel piccolo ramo benché morbido e flessibile dev’essere infatti sapientemente attorcigliato affinché possa legare.
Plastica e nylon sono certo più pratici ed economici ma al contrario delle “strope” non marciscono in vigneto, finendo per giunta anche nel fieno degli animali.
Vicino a Bepo l’immancabile fiasco. Mi ha già procurato un bicchiere: il suo modo per dir benvenuto. La poca luce e lo spessore del vetro lo rendono pulito; assaggio. Un grandioso profumo si mischia a quello di fieno e di stalla. Sento profumi di camomilla e di incenso, poi l’immancabile ossidazione del vino di casa. In bocca il vino è ancora più buono: denso, di corpo un vino di una grande struttura. Gli occhi brillanti del Bepo mi osservano fieri: “Picolit!” sentenzia.
Ritorna a sedersi sulla sua balla di fieno. Ricomincia a tagliare in silenzio. Io lì vicino per evitare l’impaccio mi accomodo per dargli una mano.
Mentre taglio “stropini” e “stroponi”, quel morbido legno di vimini inizio a pensare:
penso ai miei giorni, alla frenetica vita in azienda, al frequente trillare del cellulare.
penso alla crisi, al lavoro che manca nel nostro paese.
penso alle pugnalate alle spalle del mio capoufficio
penso a ciò che si vede oggi in TV
penso alla nuova zona industriale
penso a tutto…
…ma tutto mi sembra molto lontano…
…quasi esistesse solo la stalla, il fiasco di Picolit, la Bruna ed il Bepo seduto sul fieno che taglia le “strope”.

di Alberto Brazzale

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