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Nocino di San Giovanni: il liquore contadino che custodisce il profumo dell’estate

Abbiamo preso spunto da un approfondimento pubblicato su “La Cucina Italiana” e da un’intervista a Vania Franceschelli, presidente dell’Ordine del Nocino Modenese, per raccontare uno dei riti più affascinanti del calendario del gusto: quello del nocino di San Giovanni, il liquore alle noci che, da secoli, scalda le tavole e le conversazioni invernali con il suo profilo profondo e avvolgente.

Denso, scuro come la notte in cui nasce, il nocino è più di un digestivo: è un elisir della memoria, una ricetta che unisce botanica e ritualità, saperi domestici e patrimonio rurale. Viene preparato nella notte tra il 23 e il 24 giugno, quando la natura è al suo apice vitale e i malli verdi del noce sono ancora teneri e succosi, ideali per essere messi a macerare in alcol puro, zucchero e qualche scorza di limone. A volte un tocco di chiodi di garofano, raramente una stecca di cannella. L’aromaticità va dosata con rispetto: “poco è già troppo”, ci ricorda la tradizione.

“Ogni famiglia ha il suo nocino, ogni annata racconta una storia diversa”, spiega Vania Franceschelli. “C’è chi lo ama più dolce, chi più austero. A seconda dell’altitudine, dell’esposizione al sole, del tempo di raccolta, il nocino cambia volto, pur restando fedele alla sua identità.” Il suo profilo organolettico è ricco: note erbacee, tannini vellutati, sentori di resina, noci fresche, spezie leggere, un finale persistente che chiude il sorso con calore e complessità. È perfetto a fine pasto, servito a temperatura ambiente, magari in un calice panciuto che ne esalti gli aromi balsamici. Ma anche in abbinamento insolito con formaggi erborinati, cioccolato fondente, pasticceria secca o a gocce su un gelato artigianale alla crema. Dietro ogni bottiglia c’è un gesto antico, quello della rezdora, la padrona di casa emiliana, che si alzava prima dell’alba con le ragazze in età da marito per raccogliere le noci, rigorosamente in numero dispari, a piedi nudi tra i campi bagnati di rugiada. Un gesto carico di simbolismo, dove luce e buio si intrecciano, e il frutto dell’albero “proibito” si fa liquore da condividere. A custodire questa tradizione c’è l’Ordine del Nocino Modenese, fondato nel 1978 a Spilamberto, in provincia di Modena, con l’obiettivo di tramandare il “vér nusèn tradizionèl”. Oggi, oltre a organizzare corsi per assaggiatori e a stilare un disciplinare di riferimento, l’associazione promuove il Palio di San Valentino, occasione per premiare i migliori nocini fatti in casa e valorizzare questo piccolo tesoro gastronomico. Nel bicchiere, il nocino racconta la pazienza dei tempi lenti, la cura delle mani femminili, la sacralità della terra. È un liquore gastronomico, antico ma attuale, perfetto per chi ama riscoprire l’essenza delle stagioni attraverso sapori veri, profondi, evocativi. Un sorso è sufficiente per ritrovare l’estate in una goccia, il silenzio della campagna all’alba, e il profumo del legno e della noce che abbraccia il palato con la saggezza dei secoli.

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