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Da sola contro tutti: la vicenda di Ruby Bridges che “i bianchi” non volevano a scuola

Ci sono date che non si limitano a segnare un giorno nel calendario, ma diventano una fenditura nella storia. New Orleans, 14 novembre 1960 è una di quelle. Una mattina in cui una bambina di sei anni, minuta, vestita con un abito a quadri e un fiocco bianco tra i capelli, varcò la soglia della William Frantz Elementary School, fino ad allora riservata esclusivamente ai bianchi. Il suo nome era Ruby Bridges, e con il suo passo lento e deciso aprì una porta che l’America cercava da anni di tenere chiusa. Da sei anni la Corte Suprema aveva stabilito che la segregazione scolastica era illegale, ma New Orleans ,  come buona parte del Sud,  aveva resistito, aggrappandosi ai propri pregiudizi.

Solo nel 1960 la città iniziò davvero a integrare le scuole, ma lo fece con un sistema che era poco più di un filtro discriminatorio: un test per “selezionare” i bambini neri ritenuti sufficientemente preparati per frequentare una scuola “bianca”. Lo superarono in sei. Due famiglie, terrorizzate dalle minacce, rinunciarono. Tre bambini vennero dirottati verso un altro istituto. Ruby fu destinata alla William Frantz, da sola. La decisione creò una frattura all’interno della famiglia Bridges. Il padre, Abon, temeva vendette, pressioni, violenze. La madre, Lucille, non retrocesse di un passo: «Dobbiamo darle un’educazione migliore. E Ruby potrebbe aprire la strada a tanti altri bambini neri.» Aveva ragione. Ma non immaginava quanto sarebbe stato alto il prezzo. Quella mattina, Ruby arrivò a scuola scortata da quattro agenti federali. All’ingresso, una folla di madri e padri bianchi urlava insulti, brandiva cartelli, lasciava scorrere parole cariche d’odio che nessun adulto, figuriamoci una bambina, dovrebbe mai ascoltare. Una volta dentro, il silenzio fu ancora più crudele: quasi tutti i genitori ritirarono i figli. L’edificio si svuotò. Ruby rimase l’unica alunna della sua classe. Per un anno intero, Ruby studiò da sola. La maestra Barbara Henry , l’unica disposta a insegnare ,  si sedette accanto a lei ogni giorno come se avesse davanti un’intera aula. Per proteggerla da possibili avvelenamenti, Ruby portava il cibo da casa. La famiglia subì ritorsioni: il padre venne licenziato, alla madre fu impedito di fare la spesa nel negozio più vicino, i nonni vennero sfrattati dal terreno che coltivavano. A sostenere Ruby da un punto di vista psicologico intervenne lo psicanalista infantile Robert Coles, che offrì gratuitamente un anno intero di incontri alla famiglia. Da quell’esperienza nacque il libro The Story of Ruby Bridges, un testo che ancora oggi insegna a generazioni di bambini cosa significa affrontare la discriminazione. Il clima cambiò soltanto l’anno successivo. Un pastore metodista decise di portare la figlia a scuola e, facendosi strada tra la folla, disse: «Voglio semplicemente usufruire del privilegio di portare mia figlia Pam a scuola.» Pam salì i gradini, raggiunse Ruby, le prese la mano e insieme entrarono in classe. Un gesto semplice, ma sufficiente a incrinare un sistema di odio. Da lì, altri genitori seguirono l’esempio. Le proteste si affievolirono. La normalità, lentamente, tornò. Ruby Bridges completò gli studi, frequentò il college, lavorò per American Express.

Nel 1984 si sposò e, dopo la nascita dei quattro figli, scelse di dedicarsi alla famiglia. Nel 1999 fondò la Ruby Bridges Foundation, impegnata a promuovere tolleranza, rispetto e valorizzazione delle differenze. Nel 2014, nel cortile della William Frantz Elementary, fu inaugurata una statua che la raffigura bambina, proprio lì dove tutto era iniziato. La sua marcia quotidiana venne immortalata anche dal pittore Norman Rockwell nel celebre dipinto The Problem We All Live With, oggi esposto in musei e istituzioni di tutto il mondo. Quando Ruby arrivò alla Casa Bianca per vedere il quadro accanto a Barack Obama, il presidente le disse una frase destinata a restare: «Se non fosse stato per te, io non sarei qui oggi.» La storia di Ruby Bridges non è un simbolo lontano né un’eco del passato. È la dimostrazione concreta che il coraggio può avere il volto di una bambina che non capisce fino in fondo l’odio degli adulti, ma sa già distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. Ogni passo che Ruby fece verso quella scuola fu un passo che l’America compì verso se stessa. Un passo di dolore, certo, ma anche di speranza. Un passo che continua a indicare la strada a ogni generazione che crede nella giustizia.

V.R.

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