“Se lo sfogo d’ira dell’imputato viene correttamente inserito nel suo contesto, potrà essere ricondotto alla logica delle relazioni umane e si potrà ragionevolmente concludere che esso costituisce un unicum”. Sono queste le parole testuali delle motivazioni della sentenza con cui i giudici del tribunale di Torino Paolo Gallo, Elena Rocci e Giulia Maccari hanno condannato un uomo violento a un anno e 6 mesi per lesioni, assolvendolo dall’accusa di maltrattamenti alla ex, costituita parte civile. Nelle ultime ore, questa sentenza è al centro di molte polemiche, che hanno raggiunto anche il parlamento.
Nessun maltrattamento
“Dal 2021 si è scatenato l’inferno – ha raccontato la donna – . In casa era una discussione continua. Diceva che ero una puttana, che avevo rovinato la famiglia, che non ero una brava mamma”. Il reato di maltrattamenti, però, si configura quando “violenze, vessazioni e umiliazioni reiterate ledono una persona”. Certificano i giudici: “Le frasi devono essere calate nel loro specifico contesto: l’amarezza per la dissoluzione della comunità domestica era umanamente comprensibile. Al di là dello scurrile linguaggio, l’imputato esprimeva il disappunto per il peggioramento delle condizioni economiche a cui sarebbe andato incontro. Si è alla presenza della normale dialettica innescata da una decisione sicuramente traumatica (la separazione comunicata via WhatsApp, ndr)”.
Condannato solo per lesioni
Per il tribunale, “siamo di fronte a un unico episodio di lesioni personali. Fino al 28 luglio 2022, nulla di penalmente significativo si è verificato”. Poco prima di quel giorno, l’imputato viene informato dal figlio dei comportamenti intimi dell’ex moglie con il suo nuovo compagno, all’interno della casa dove la famiglia aveva vissuto. È in questo momento che la situazione degenera e sfocia nella violenta aggressione, contestualizzata dai giudici in un contesto di “comportamenti non ineccepibili della vittima. Sapere che un estraneo trascorreva del tempo nella casa che per quasi vent’anni era stata la sua dimora familiare fece sì che l’imputato si sentisse vittima di un torto”.
Riportano le motivazioni della sentenza: “Il gesto violento è legato a una specifica condizione di stress alimentata per vie diverse”. Anche per questo, la pena è sospesa con la condizionale e l’imputato non deve andare in carcere.
fonte Torino Today