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Schio. Lavoratori sottopagati, la denuncia: “30% in meno con contratti pirata”

Sarebbero “organizzazioni sindacali fantasma, complici dei padroni”, i responsabili del degrado delle condizioni di vita di molti lavoratori. Sottopagati e sfruttati “proprio grazie agli accordi che quelli che dovrebbero tutelare l’anello più debole della catena stipulano con i datori di lavoro e questo è documentato dai numeri: il 37,5 per cento del totale dei contratti sono stati firmati da associazioni datoriali e organizzazioni sindacali, mentre i due terzi dei contratti si possono definire pirata, con i lavoratori che arrivano a percepire il 30% in meno dello stipendio che sarebbe loro dovuto”. A dirlo è Usb di Schio e non è la prima volta che l’organizzazione sindacale si scaglia contro i suoi stessi colleghi, siano essi ‘fantasma’ o siano regolarmente riconosciuti dagli organi nazionali.

In risposta alle numerose denunce da parte di imprenditori, che avevano dichiarato di non trovare personale per le loro aziende, aveva replicato con alcune frecciate Marina Bergamin, sindacalista del dipartimento mercato del lavoro Cgil Vicenza, che aveva individuato nei contratti pirata e negli stipendi troppo bassi la causa per cui molti potenziali lavoratori non accettano di entrare in azienda.

Ma secondo Usb di Schio ed il suo portavoce Luc Thibault, le cose stanno diversamente e “i sindacati sono complici dei padroni, che a loro volta sono responsabili del degrado delle condizioni di vita e del lavoro”.

“Dai dati Eurostat si evince che in Italia l’11,8% dei lavoratori nel 2019 era in condizione di povertà contro una media Europea del 9,2%. Questo dimostra come i salari in Italia siano spesso troppo bassi, addirittura da non permettere ai lavoratori di uscire dalla condizione di povertà. Non solo molti lavoratori sono in condizione di povertà, ma in generale i salari in Italia non sono alti come nel resto d’Europa – spiega Luc Thibault a nome di Usb – Il valore del salario orario mediano in Italia è pari a 12,61 euro, al di sotto della mediana europea pari a 13,18 euro. Inoltre, a parità di potere d’acquisto (PPS), esso è pari a 12,16 euro in Italia, e rimane comunque inferiore alla media europea (12,59 euro) e alla maggior parte dei Paesi europei, escludendo gli stati più piccoli. Oltre a quanto dichiarato da Manuela Bergamin ad Altovicentinonline, su Veneto Economia è apparsa la denuncia della Cgia di Mestre: su 935 contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) vigenti e depositati al Cnel entro il 31 dicembre scorso, 351 sono stati firmati da associazioni datoriali e organizzazioni sindacali non riconosciute dallo stesso Consiglio Nazionale: praticamente 4 su 10, precisamente il 37,5 per cento del totale”.

Numeri documentati dall’ufficio studi della Cgia.

“Nessuno mette in discussione la libertà sindacale che, in un paese democratico va sempre garantita – ha sottolineato Usb – Tuttavia, non è un mistero che spesso sigle sindacali fantasma che non rappresentano nessuno o quasi, sottoscrivono dei contratti di lavoro a livello nazionale che molti definiscono, correttamente,  pirata. Sia chiaro: non siamo nel far west, ma in alcune filiere produttive poco ci manca. Sono accordi  che spesso abbattono i diritti più elementari, indeboliscono la legalità, favoriscono la precarietà, minacciano la sicurezza nei luoghi di lavoro, comprimendo paurosamente i livelli salariali. Accordi fortemente al ribasso che creano concorrenza sleale delegittimando quelle organizzazioni che, invece, hanno una rappresentanza sindacale presente su tutto il territorio nazionale,  fatta di storia, di cultura del lavoro e del fare impresa, di iscritti, di sedi in cui operano migliaia e migliaia di dipendenti che erogano servizi a milioni di imprese e milioni di lavoratori dipendenti. Su circa 900 accordi, solo 300 sono siglati da Cgil, Cisl e Uil – continua Thibault – Secondo l’ultima banca dati del Cnel in Italia sono attualmente in vigore 864 contratti collettivi nazionali di lavoro. Un numero altissimo, che diventa ancora più problematico se si pensa che di questi solo 300 sono firmati da sindacati (Cgil, Cisl Uil) e datoriali.  In Italia ci sono quasi 600 contratti pirata. Pirata nel senso che vengono siglati solo per pagare meno i lavoratori e riconoscere loro minori diritti e tutele. Firmati, appunto, da organizzazioni di fatto inesistenti o nate solo con l’obiettivo di fare dumping salariale. Quando hanno la sfortuna di ricadere in un accordo di questo tipo, infatti, i lavoratori arrivano a percepire fino al 30 per cento in meno di retribuzione rispetto ai loro colleghi, per non parlare di ferie, malattie, maternità, tredicesime”.

L’importanza delle organizzazioni sindacali certificate

“La misurazione e la certificazione della rappresentanza significano non solo garantire la libertà sindacale, ma darci delle regole”, aveva detto Maurizio Landini, segretario generale della Cgil.

“A sentire Marina Bergamin della Cgil di Vicenza, Maurizio Landini ma anche Carlo Bonomi di Confindustria ,  tutto sarebbe questione di contratti o  ‘colpa’ dei contratti – sottolinea il portavoce di Usb – Quando il leader della Cgil Maurizio Landini è venuto  a ‘discutere’ con il capo della Confindustria, sui contratti nazionali da rinnovare ha sottolineato il problema dei salari troppo bassi in Italia e agli industriali e al presidente Bonomi ha lanciato un messaggio chiaro: ‘Sul rinnovo dei contratti c’è un problema che si chiama salario’. Ma i contratti pirata, o firmati dai confederali, sono sempre al ribasso. Se prendiamo in esame tutti i lavoratori dipendenti, gli stipendi dei dirigenti, cioè del 10% del totale, sono aumentati del 27%, ma non in maniera costante: a un forte incremento degli anni ’80-90 (+30% tra l’85 e il ’92) è poi seguita una sostanziale stagnazione. La media di tutti i salari registra un aumento complessiva del 7% in trent’anni (grazie soprattutto al dato di dirigenti e manager), ma anche in questo caso a un certo incremento del primo decennio è seguita una lenta e quasi impercettibile discesa (meno 6% dal ’92 al 2014). I salari del 35% di lavoratori meno pagati, compreso chi fa lavori discontinui e con contratti precari, perde dal 22 al 29%: dopo un incremento

attorno al 10% della seconda metà degli anni ’80, dal ’90-92 inizia una lunga e sensibile discesa che per il 10% dei più poveri arriva a sforare il 30%. L’articolo 36 della Costituzione recita che ‘Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’ – continua Thibault – Eppure, in Italia, il costo della vita aumenta nettamente di più rispetto ai salari. In Italia emerge una polarizzazione verso il basso dei salari, frutto di politiche aziendali e sindacali, che hanno sfruttato la ‘moderazione salariale’ come strumento per la competitività. Tra il 2000 e il 2019 in Germania e in Francia si è registrato, rispettivamente, un aumento del salario lordo annuale del +18,4% e +21,4%, mentre in Italia del +3,1%. E mentre i salari diminuiscono, o aumentano di troppo poco, il costo della vita si aggrava dell’1-2% ogni anno. La continua spirale di delegittimazione dell’organizzazione dei lavoratori, la repressione sindacale,  e il degrado  salariale rischiano probabilmente di diventare sempre più la normalità se non ci saranno riprese di lotte de classe – conclude Luc Thibault a nome di Usb –  Di fronte all’emergenza di nuovi settori economici e di nuove forme di lavoro, sono state lasciate da parte la tutela dei diritti dei lavoratori scoprendo come il confine tra lavoro e sfruttamento sia più labile di quanto si possa pensare”.

A.B.

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