“Quando non avremo più campagne, né campi da coltivare, solo allora ci accorgeremo che il cemento non possiamo mangiarlo”. Così in una nota Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI, commenta i recenti dati sul consumo di suolo resi noti dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA). “Ancora una volta non possiamo che appellarci alla politica, ribadendo l’urgenza di provvedimenti contro l’abbandono dei territori nelle aree interne e la inarrestabile cementificazione delle zone costiere, che notoriamente aumenta fragilità e rischio idrogeologico ed esposizione a incendi”, spiega Vincenzi. Ora, però, un alert in più arriva dall’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, recita la nota dell’ANBI, che segnala come l’impermeabilizzazione dei territori lungo le fasce costiere (la percentuale di suolo consumato nei primi 300 metri dal mare, cioè il 22,9%, è addirittura più del triplo che sul resto del territorio nazionale), accompagnata da una crescente pressione antropica dovuta all’esodo dalle aree interne, indebolisce la resilienza verso l’estremizzazione degli eventi meteo, che sempre più spesso colpiscono proprio le zone litoranee a causa di una delle più evidenti conseguenze della crisi climatica: lo scontro fra correnti fredde nordiche e temperature mediterranee troppo miti. Basti pensare che, dall’inizio dell’anno, ben 309 località costiere italiane sono state colpite da tornado, con un aumento di questi fenomeni rispetto allo stesso periodo del 2024 di quasi il 18% e di +368% rispetto a soli 10 anni fa (elaborazione ANBI su dati ESWD – European Severe Weather Database).
“Di fronte a questi dati è evidente l’esponenziale aumento di rischio idrogeologico lungo i litorali. La prevenzione da disastri naturali non può prescindere dalla coscienza dei pericoli, che incombono: per questo, contrastare l’eccessiva urbanizzazione lungo le coste, creando al contempo i presupposti, perché il presidio umano continui a popolare anche le aree marginali, deve essere il primo obbiettivo per garantire sicurezza dagli eventi estremi ed evitare disastri annunciati”, aggiunge Massimo Gargano, direttore generale dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI). “Se a questi dati aggiungiamo ulteriori 1.303 ettari di suolo consumato nelle zone a pericolosità idraulica media e 600 ettari in più nelle zone a pericolo frana, nonché circa 274 ettari artificializzati addirittura in aree protette, comprendiamo la necessità di una grande azione di cultura del territorio ad ogni livello. In gioco c’è il futuro dell’Italia”, conclude Francesco Vincenzi.