“Non sono un politico, non sono un esperto, sono semplicemente un padre che ha visto la propria vita cambiare per sempre. E due anni fa ho perso mia figlia, una ragazza piena di vita, curiosa, generosa, capace di vedere il bene anche dove non c’era. Da quel giorno il mio mondo si è fermato, ma non potevo restare fermo anch’io”. Lo dice il presidente della Fondazione Giulia Cecchettin, Gino Cecchettin, in audizione in commissione Femminicidio. “Eventi come questi- aggiunge- ti cambiano per sempre. Non c’è futuro, ti viene tolto anche il futuro, un futuro fatto di abbracci, di ricordi e di giornate che non ci saranno più. Che in qualche modo dovevo riempire. E quindi ho scelto di reagire, di dare un senso a quel dolore che rischiava di distruggermi. Così è nata la fondazione Giulia Cecchettin. Non per coltivare la memoria del dolore, ma per trasformarla in impegno. Perché se non cambiamo la cultura che genera la violenza, continueremo a piangere altre Giulia, altre famiglie, altre vite spezzate”.
CECCHETTIN: NON CHIEDO PUNIZIONI O LEGGI PIÙ DURE, MA EDUCAZIONE A SCUOLA
“Non sono qui per chiedere più punizioni o leggi più dure. La giustizia serve, ma arriva sempre dopo. Io sono qui per parlare di ciò che può arrivare prima. La prevenzione e quindi l’educazione. Noi della fondazione crediamo che l’unica risposta duratura alla violenza sia educare al rispetto, all’empatia, alla libertà reciproca. E questo può avvenire solo nella scuola, il luogo dove si formano le persone, non solo gli studenti. Non si tratta di ideologia, ma di civiltà. Parlare di educazione affettiva significa insegnare ai ragazzi a conoscere se stessi, a gestire le emozioni, a riconoscere i confini e chiedere e dare consenso. Significa insegnare che l’amore non è possesso, che la forza non è dominio, che rispetto è la base di ogni relazione”. Spiega Gino Cecchettin durante l’audizione.
“E qui entra in gioco la responsabilità delle istituzioni. Una scuola che non parla di affettività, di rispetto, di parità è una scuola che lascia soli i ragazzi di fronte a un mondo che grida messaggi distorti“, sottolinea il padre di Giulia Cecchettin. “Quando la scuola tace- aggiunge-, parlano i social, parlano i modelli tossici, parlano i silenzi degli adulti. Noi abbiamo il dovere di dare ai giovani strumenti per orientarsi, non solo nozioni per studiare. So bene che ci sono paure, resistenze e incomprensioni, ma vi assicuro che l’educazione affettiva non è un pericolo, è una protezione. Non toglie nulla a nessuno, ma aggiunge qualcosa a tutti. Consapevolezza, rispetto e umanità”. “Il mio impegno- dice ancora- è quello della fondazione, nasce da qui, dal desiderio di evitare che altri genitori debbano vivere ciò che ho vissuto io. Ma anche nella speranza che un giorno non servano più le fondazioni intitolate a ragazzi uccise, perché avremo imparato a riconoscere il valore sacro della libertà di ciascuno e il valore sacro della vita. Non possiamo cambiare ciò che è stato, ma possiamo cambiare ciò che sarà. E questo possiamo riguarda tutti, le istituzioni, la scuola, le famiglie, la società civile. Per Giulia e per tutte le Giulia che verranno, vi chiedo di fare una scelta coraggiosa, di credere nell’educazione come prima forma di giustizia, come la vera forma di prevenzione”.
Per Gino Cecchettin “oggi la violenza di genere viene spesso raccontata come un’emergenza, ma non lo è. È un fenomeno strutturale, radicato nella nostra cultura, nei linguaggi, nei modelli di relazione, negli stereotipi che continuiamo a tramandare. Non nasce all’improvviso, non è un raptus, cresce lentamente in una società che troppo spesso giustifica, minimizza o resta in silenzio. Per questo credo che l’educazione sia l’unica risposta sistematica possibile. Non possiamo delegare ai tribunali ciò che spetta alla scuola, alla famiglia, alle istituzioni culturali. È lì, nelle aule e nei luoghi di formazione che possiamo insegnare ai nostri ragazzi a riconoscere la violenza prima che si trasformi in gesto, prima che diventi tragedia”.