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Ecco chi ha vinto il Nobel per la Pace: “Lo dedico a Trump”

L’edizione 2025 del Premio Nobel per la Pace ha visto la nomina di Maria Corina Machado, tra le principali leader del movimento democratico e liberale che in Venezuela chiede la fine del governo del presidente Nicolas Maduro. Il Comitato del Nobel ha scelto lei perché “voce eccezionale” in America Latina e “instancabile” per la difesa della democrazia, che nel mondo di oggi “è sotto attacco” a causa di “regimi autoritari”.

Questo riconoscimento della lotta di tutti i venezuelani è uno stimolo per portare a termine il nostro compito: conquistare la Libertà“. Inizia così, in un post su X, Maria Corina Machado, la leader liberale venezuelana che si è aggiudicata il premio Nobel per la Pace di quest’anno.
Siamo alle soglie della vittoria e oggi più che mai contiamo sul Presidente Trump, sul popolo degli Stati Uniti, sui popoli dell’America Latina e sulle nazioni democratiche del mondo come nostri principali alleati per raggiungere la libertà e la democrazia” ha aggiunto, concludendo: “Dedico questo premio al popolo sofferente del Venezuela e al Presidente Trump per il suo decisivo sostegno alla nostra causa”. Anche il Capo della Casa Bianca era in lizza per il Nobel della Pace, per il suo ruolo nei negoziati tra Israele e Hamas.

In questo mondo entrerà infatti nel 2002, durante gli anni della presidenza di Hugo Chavez, di cui è stata tra le voci più critiche.

Nel 1990 intanto Machado si era sposata con Ricardo Sosa Branger, da cui divorzierà nel 2001. Da lui avrà tre figli: Ana Corina, Ricardo e Henrique, che oggi vivono all’estero per ragioni di sicurezza: una scelta assunta, ha spiegato la coppia, “per evitare rappresaglie”, denunciando persecuzioni e incarcerazioni subite dagli oppositori in Venezuela.
La sua carriera politica prende velocità nel 2004, quando l’ingegnera fonderà Sumate, un movimento civile che si batté per la difesa del diritto di voto e della partecipazione dei cittadini, partecipando all’indizione del “referendum revocatorio”: le opposizioni chiamarono così il diritto riconosciuto dalla Costituzione di poter porre fine al mandato dell’allora presidente Chavez, accusato della crisi economica che stava colpendo il Paese. Due anni prima, le opposizioni avevano sostenuto un colpo di Stato che tuttavia, dopo due giorni fallì, col ritorno in carica di Chavez. Quanto al referendum, si concluse con la riconferma del presidente con oltre il 59% dei consensi, un esito che incontrò forti denunce di brogli. Il governo Chavez invece accusò Machado e i suoi di essere “cospiratori e servi degli Stati Uniti”.
L’anno successivo, l’allora presidente George W. Bush accolse Machado allo studio ovale, esprimendole sostegno. Nel frattempo, la leader di Sumate affrontò due processi, uno per corruzione e un altro per aver partecipato al golpe del 2002, ma entrambi si conclusero in un nulla di fatto.

L’ingresso al Parlamento venezuelano come deputata avviene nel 2011 ma sarà nel 2013 – anno in cui a Chavez succede Nicolas Maduro – che fonderà il suo partito, Vente Venezuela, incentrato sul neoliberismo in economia, i valori della democrazia e dei diritti umani. Questo confluirà nella Plataforma Unitaria nel 2023, quando alle primarie sarà eletta a larghissima maggioranza – oltre il 90% dei voti – come candidata alle presidenziali del 2024. Voto a cui però le è stato impedito di presentarsi dopo una sentenza della Corte suprema venezuelana, che la accusava di frode, violazioni fiscali e azione politica volta a far scattare sanzioni economiche contro il Venezuela da parte degli Stati Uniti. Le sanzioni americane effettivamente erano giunte nel decennio precedente, ed è a queste che il governo Maduro attribuisce l’inflazione galoppante e la crisi sociale arrivata ai livelli di una crisi umanitaria, con l’incapacità del Paese – storicamente basato sul settore petrolifero – di far fronte all’acquisto di prodotti finiti tra cui anche cibo, farmaci e pezzi di ricambio.
Per Machado e i suoi invece, tali problemi devono affrontarsi con riforme radicali, tanto in economica quanto in politica. Di fronte a quella squalifica, quindi, la leader liberale e liberista ha accettato di farsi da parte, sostenendo apertamente la candidatura del collega Edmundo González Urrutia. A lui il compito di sfidare alle urne il presidente Maduro, in cerca della riconferma. Il voto si è concluso con la vittoria di Maduro, ma per le opposizioni – forti di un meccanismo di verifica messo in piedi tramite una rete di migliaia di volotnari – il vero vincitore sarebbe stato Urrutia. Centinaia gli arresti nelle proteste che seguirono.

A Machado, il Comitato per il Nobel ha riconosciuto la capacità di “unire forze politiche un tempo profondamente distanti tra loro”, mobilitando al tempo stesso la società civile, anche esule all’estero, che continua ad invocare la fine del governo Maduro e la liberazione dei prigionieri politici.
Tra questi, anche il cooperante italiano Alberto Trentini e del connazionale Mario Burlò, in carcere da oltre un anno. I due hanno ricevuto per la prima volta a fine settembre di quest’anno la visita dell’ambasciatore italiano a Caracas Giovanni de Vito, a cui hanno detto di “essere in buona salute e trattati bene”. Le famiglie continuano ad appellarsi al governo Meloni, che assicura di “seguire da vicino” la vicenda.

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