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Quando si specula perfino sul dolore e sulla disabilità, gli studi smentiscono Trump: “non ci sono nessi tra autismo e paracetamolo”

La recente affermazione di Donald Trump secondo cui l’assunzione di paracetamolo in gravidanza aumenterebbe il rischio di autismo nei bambini ha aperto un dibattito tra gli esperti. “Gli studi di cui parla il Presidente degli Stati Uniti sono osservazionali sulla base di biomarcatori nel sangue del cordone o di analisi epidemiologiche non verificate da caso controllo- ha spiegato il Prof. Claudio Giorlandino, ginecologo e Direttore Scientifico del Centro di Ricerche Altamedica sottolineando che questo tipo di ricerche non sono sufficienti a stabilire un nesso di causalità- Non è la prima volta che accade: basti ricordare il caso dei vaccini, finiti ingiustamente sul banco degli imputati. Lo stesso vale per il paracetamolo: alcune ricerche osservazionali avevano suggerito un’associazione, ma lo studio più ampio e robusto, pubblicato su JAMA nel 2024 e basato su oltre due milioni di bambini, ha escluso una relazione causale”.

 

Giorlandino ha anche commentato la proposta di Trump di curare l’autismo con l’acido folinico (Leucovorin). “È vero e dimostrato da numerosissimi studi che ci sono miglioramenti in linguaggio e capacità cognitive nei bambini con autismo; non si tratta di una cura definitiva. I miglioramenti sono prevalenti in particolare nei bambini nei quali ancora persista l’attività autoimmunitaria contro il recettore alfa del folato”, afferma.

Il professore che ha illustrato la distinzione tra l’autismo sindromico, di origine genetica, e l’autismo non sindromico, sempre più associato a meccanismi autoimmunitari. “Negli ultimi vent’anni l’aumento dei casi (passati da 1:180 a 1: su 31 secondo le maggiori agenzie sanitarie) ha seguito in parallelo l’aumento delle malattie autoimmuni nelle donne- ha osservato- Questa ipotesi suggerisce che anticorpi materni diretti contro il recettore alfa del folato possano bloccare il corretto sviluppo cerebrale del feto. Se non si inizia a bloccare questo meccanismo nella vita fetale, si arriva troppo tardi ed i miglioramenti non sono tali da annullare i danni già prodotti in utero. Questa chiave autoimmunitaria spiega anche perché l’autismo colpisca più i maschi che le femmine: le placente delle bambine filtrano gran parte degli anticorpi materni, mentre quelle dei maschi lasciano passare più facilmente le immunoglobuline verso il cervello in formazione.

In questo contesto, il Prof. Giorlandino ha annunciato i risultati di un filone di ricerca esplorato dal suo gruppo. “Nel nostro Istituto di ricerca scientifica, siamo stati tra i primissimi al mondo a dimostrare che l’autismo non sindromico può nascere da un meccanismo di autoimmunità materna: la madre trasmette anticorpi (FRAA) che bloccano il recettore alfa del folato, impedendo al cervello fetale di svilupparsi correttamente in aree critiche. Tra i vari studi già da noi pubblicati, vale la pena di citare quello randomizzato e controllato (FRAA-FOL Study registrato con il numero ISRCTN96269039 e in via di pubblicazione) condotto su 210 donne, ha dimostrato un successo straordinario. I figli delle madri trattate con acido folinico hanno mostrato un’incidenza di autismo del 10%, contro il 62,5% del gruppo trattato con acido folico” ha affermato Giorlandino.
Questo studio conferma l’importanza della prevenzione e suggerisce che “il test per gli anticorpi FRAA deve diventare mandatorio per tutte le donne in epoca preconcezionale o nei primi mesi di gestazione”.

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