a cura di Nicola Perrone
Ancora poche ore e sapremo a chi verrà assegnato il Premio nobel per la pace del 2025. Dopo l’accordo per la fine della guerra e del massacro dei palestinesi a Gaza, accordo fortemente voluto dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, molti suoi seguaci e adulatori nel mondo stanno facendo il tifo e gridano il suo nome: datelo a lui.
Un brivido lungo la schiena, è possibile? Sì, mi risponde asettica la mia amica Ai, “è formalmente possibile che Trump vinca il Nobel per la Pace 2025, dato che le candidature sono state confermate: ci sono 338 candidati (244 persone, 94 organizzazioni) per quest’anno”.
Ma allora chi è in pole position? Secondo le quote dei bookmaker e le analisi attuali: Yulia Navalnaya (vedova dell’oppositore russo Alexei Navalny) è spesso indicata come favorita, con buone chances; alcuni bookmaker mostrano Trump stesso come uno dei favoriti, ma sempre “dietro” Navalnaya o molto vicino ad altri candidati. Altri nomi che appaiono tra i contendenti includono figure attive nei diritti umani e nella diplomazia internazionale.
Dunque sì, Trump può teoricamente vincere, ma le probabilità non sono alte secondo gli esperti e le quote. Il favorito attuale è Yulia Navalnaya o almeno qualcuno con un profilo più “accettabile” ai criteri storici del premio. Ma il nostro Donald non molla mai, se alla fine riuscisse ad agguantare il Nobel? Prima di tutto ci sarebbe la ‘grana’:
Il premio consiste in una medaglia, un diploma e circa 11 milioni di corone norvegesi (quasi 950.000 euro, buttali via). Poi la parata: la cerimonia si tiene come sempre il 10 dicembre a Oslo, anniversario della morte di Alfred Nobel. Trump verrebbe invitato a ritirare il premio di persona e a tenere il discorso del Nobel, che finirebbe negli archivi ufficiali del Comitato. In altre parole: da quel momento in poi, “Donald J. Trump, Premio Nobel per la Pace” diventerebbe un titolo ufficiale e permanente nella storia. Trump in ogni momento tirerebbe fuori il Nobel come prova della sua capacità di negoziare la pace, rafforzando il suo messaggio elettorale negli USA (“vedete, perfino il mondo riconosce che ho portato la pace”). Ma sul piano politico internazionale sarebbe uno dei momenti più controversi nella storia del premio, e avrebbe conseguenze immediate. Facile prevedere che gran parte della comunità diplomatica e accademica reagirebbe con sconcerto o indignazione, paragonando la decisione a premi discussi in passato (es. Obama 2009, Arafat 1994, Abiy Ahmed 2019). Di sicuro ci sarebbero proteste e prese di posizione molto dure da parte di media e ONG sul premio “tradito”. Poche ore e sapremo. Brivido.