“Diffondete la nostra voce: stiamo vivendo l’inferno”: lo afferma una donna, Fatima Ibrahim, una donna migrante che parla mentre tiene il figlio piccolo in braccio. “Sono detenuta qui coi miei figli minorenni dopo che ci hanno arrestato in mare. Quello che è successo ha superato la crudeltà umana”. Il video, diffuso dalla rete Refugees in Libya e rilanciato in una nota dall’organizzazione Mediterranea, denuncia “ancora crimini contro donne e bambini che tentano di fuggire dalla Libia, dove sono sottoposti a sofferenze indicibili”. L’organizzazione riferisce che il filmato è stato realizzato all’interno del “lager libico di Zawiya“, per denunciare “le uccisioni dello scorso 2 maggio ad opera della cosiddetta Guardia costiera libica”.
COSA È SUCCESSO IL 2 MAGGIO
Mediterranea riferisce: “In aperta violazione alla Convenzione di Ginevra e alla Convenzione di Amburgo, le milizie libiche che si fanno chiamare ‘guardia costiera’, su diretto incarico del governo italiano, effettuano catture in mare dei profughi che tentano di scappare, e li deportano nuovamente in Libia, nelle prigioni che ben conosciamo”.
L’organizzazione dedita al salvataggio e soccorso di migranti attraverso la rotta del Mediterraneo centrale aggiunge: “Oltre al video, abbiamo raccolto via audio le testimonianze. Fatima Ibrahim e la sorella Rakuya, profughe etiopi, sono state catturate con i loro bambini e altre 130 persone dalla cosiddetta guardia costiera libica, lo scorso 2 maggio, in acque internazionali tra l’Italia e la Libia. Erano salpati da Sabratha su un’imbarcazione di legno a due ponti con oltre 130 persone imbarcate. Hanno navigato per circa un’ora dalla costa, fino a quando le milizie sono arrivate e hanno sparato contro la loro barca. Alcune persone sono rimaste uccise, una ragazza è sicuramente morta per le ustioni derivanti dall’incendio del motore colpito dai colpi dei mitra. I sopravvissuti sono stati portati nella prigione di Almasri e sono stati spogliati, perquisiti. I miliziani hanno sottratto telefoni e soldi. Il giorno seguente, venerdì 3 maggio, è morto un bambino e il giorno dopo un’altra donna”.
IL LAGER DI ZAWIYA
L’organizzazione Mediterranea continua sostenendo che il lager di Zawiya “in questo momento contiene più di 100 donne di altre nazionalità e decine di bambini. Gli uomini di Almasri chiedono 6mila dinari per il rilascio di ogni persona”.
Situato a una cinuqantina di chilometri a nord-ovest di Tripoli, il centro di migranti informale di Zawiya sarebbe tra quelli gestiti da Osama Elmasri Njeem, Almasri, detto Elmasri, un militare libico ricercato dalla Corte Penale internazionale per crimini contro l’umanità, tra cui torture, abusi sessuali e uccisioni di persone migranti. Il governo italiano è a sua volta stato accusato di avergli dato protezione, dopo avergli garantito un volo di ritorno dall’Italia alla Libia lo scorso febbraio, in presunta violazione del mandato d’arresto internazionale. Il governo Meloni ha negato ogni responsabilità. La Cpi ha aperto un’inchiesta a carico dell’esecutivo di Roma, i cui legali hanno risposto solo due giorni fa, allo scadere della proroga ottenuta, inviando dopo quasi ottanta giorni una memoria contenente le proprie motivazioni difensive.
Mediterranea aggiunge: “Diffondiamo questo materiale video con la speranza che la voce di questa mamma che tiene in braccio il suo bambino mentre sono imprigionati in un lager, giunga a tutti coloro che dovranno votare il rifinanziamento alle milizie libiche, previsto dal memorandum Italia-Libia. Che si imprimano bene nella coscienza ciò che stanno compiendo contro esseri umani innocenti. Abbiamo provveduto a trasmettere il video anche agli uffici della Corte Penale Internazionale: qualcuno nel governo italiano e nell’Unione Europea dovrà rispondere davanti alla giustizia di questi crimini contro l’umanità”.