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Martina è andata a morire in Svizzera, in Italia le era stato negato il suicidio assistito. Il suo ultimo video messaggio

“Martina è finalmente libera,” hanno scritto i volontari che l’hanno accompagnata. Libera dal dolore. Libera dalla burocrazia. Libera da uno Stato che le ha negato la possibilità di scegliere come e quando morire nel suo Paese. Dopo anni di battaglie legali, ostacoli burocratici, richieste ignorate e una sofferenza quotidiana diventata insopportabile, Martina Oppelli ha scelto la Svizzera per dire addio alla vita. Lo ha fatto il 31 luglio, in una clinica specializzata, accompagnata dai volontari dell’Associazione Soccorso Civile fondata da Marco Cappato.

Aveva 50 anni e da oltre metà della sua vita conviveva con la sclerosi multipla secondaria progressiva, una forma di malattia degenerativa che nel tempo le ha tolto ogni autonomia. Martina era completamente dipendente dai suoi caregiver, costretta in un corpo immobilizzato, afflitta da dolori cronici, spasmi, impossibilità a svolgere qualsiasi funzione vitale in autonomia. Assumeva quotidianamente farmaci salvavita e utilizzava la macchina per la tosse per evitare il soffocamento causato dall’accumulo di muco che non poteva espellere autonomamente. Negli ultimi mesi, il suo quadro clinico si era aggravato al punto da rendere necessario anche un catetere vescicale permanente.

Ma secondo l’ASUGI – l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina – Martina non rientrava nei criteri previsti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, che ha aperto alla possibilità del suicidio medicalmente assistito in Italia. Nello specifico, per l’ASL mancava uno dei requisiti fondamentali: il trattamento di sostegno vitale.

Una lunga battaglia con lo Stato

La storia di Martina è anche la storia di uno Stato che, pur avendo stabilito dei principi fondamentali di libertà e autodeterminazione, ha fallito nel renderli concretamente esigibili.

Il 1° agosto 2023, Martina aveva presentato la sua richiesta formale alla ASUGI per accedere alla procedura prevista dalla sentenza Cappato. Dopo essere stata visitata dalla commissione medica multidisciplinare, non ricevette alcuna relazione. Iniziò un percorso ad ostacoli, fatto di ritardi, dinieghi e mancati riscontri, che l’ha costretta a ricorrere ai giudici per ottenere una risposta.

Nel febbraio 2024, Martina tramite i suoi legali (il collegio coordinato da Filomena Gallo e composto, tra gli altri, da Angioletto Calandrini, Francesca Re e Alessia Cicatelli), mise in mora l’ASUGI e depositò un ricorso d’urgenza al Tribunale di Trieste, che a luglio 2024 le diede ragione: la ASL doveva rivalutare il requisito del trattamento di sostegno vitale entro 30 giorni. In caso contrario, sarebbe scattata una sanzione da 500 euro al giorno.

La relazione arrivò, ma il parere fu ancora negativo, nonostante le evidenti condizioni di Martina e la recente sentenza n. 135/2024 della Corte costituzionale, che ha ampliato il concetto di trattamento salvavita includendo anche pratiche come l’aspirazione del muco o l’uso di ausili respiratori.

I tre dinieghi dell’ASUGI

Anche dopo l’ulteriore richiesta del 3 aprile 2025, la ASUGI ha ribadito il diniego, affermando ancora una volta che la dipendenza totale da caregiver, la terapia farmacologica intensiva, la macchina per la tosse e il catetere non configurassero un trattamento di sostegno vitale.

Nonostante due nuove visite domiciliari, la relazione conclusiva non è mai arrivata. Di fronte a questo ennesimo silenzio, e con l’ulteriore aggravamento delle sue condizioni, Martina ha deciso di non attendere oltre.

La scelta della Svizzera

Il 30 luglio, insieme ai volontari dell’Associazione Soccorso Civile, Martina ha affrontato un viaggio doloroso e logorante, viste le sue condizioni fisiche. Il giorno seguente, 31 luglio, ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito, come previsto dalla legge elvetica.

Martina ha scelto di morire con dignità, senza attendere ulteriori risposte dallo Stato italiano, che per tre volte ha rifiutato di riconoscerle i requisiti per esercitare un diritto stabilito dalla Consulta.

Un caso che fa giurisprudenza (e coscienza)

Martina Oppelli è morta, ma la sua vicenda resta aperta e gravida di significati. I suoi legali hanno già depositato esposti presso la Procura della Repubblica di Trieste per valutare se il comportamento della ASUGI integri i reati di rifiuto d’atti d’ufficio e persino tortura, alla luce dell’inutile accanimento amministrativo su una persona in condizioni di estrema vulnerabilità.

Il suo nome è stato anche ammesso come interveniente nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio) davanti alla Corte costituzionale, che ha riconosciuto l’interesse concreto di Martina a intervenire nel procedimento.

Oggi, il suo caso resta un simbolo della distanza tra il diritto proclamato e quello realmente accessibile, e della necessità che le istituzioni – a partire dalle ASL – applichino la legge e le sentenze in maniera coerente e umana.

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