Quando l’auto si è fermata per sempre, Giorgio Zanninello non ha cercato un’altra chiave da infilare nel cruscotto. Ha infilato i sandali, è salito in sella e ha deciso che quella sarebbe stata la sua unica direzione. Era il 2 novembre di otto anni fa. Da allora non ha più posseduto una macchina, ma ha accumulato qualcosa di molto più raro: tempo, lentezza, libertà.
Oggi Giorgio ha percorso circa 80 mila chilometri in bicicletta. Li racconta con semplicità, come se fossero una conseguenza naturale di una scelta inevitabile. La sua compagna di viaggio è una bici a cui ha dato un nome affettuoso, “Tuorlina”, e con cui ha attraversato l’Italia da nord a sud, spingendosi fino in Grecia e in Albania. Sempre partendo da casa, sempre tornando pedalando.
Nato a Jesolo nel 1966, è cresciuto in un mondo dove d’estate le biciclette erano più numerose delle auto. A quattordici anni andava già al lavoro sui pedali e quella sensazione di movimento pulito, silenzioso, non lo ha mai abbandonato. Guardava i turisti del Nord Europa scorrere leggeri sull’asfalto e pensava che quella fosse la vera idea di libertà.
La sua vita oggi è essenziale. Vive a Trichiana, nel Bellunese, e consuma pochissima energia: niente televisione, pochi watt, il minimo indispensabile. I figli sono cresciuti tra libri, musica e matite. Per Giorgio la bicicletta non è solo un mezzo di trasporto, ma un modo di stare al mondo: rallentare, osservare, rinunciare a qualcosa per guadagnare altro.
Viaggia senza alberghi, dorme dove capita: parchi, spiagge, giardini concessi da sconosciuti, a volte persino vicino ai cimiteri. In Albania ha passato notti avvolto in sacchi per proteggersi dal freddo, raccontando di animali che arrivavano in silenzio a controllare chi fosse quell’uomo disteso sotto le stelle. Non lo spaventavano: facevano parte del viaggio.
Conta poco la meta. Quello che resta, dice, sono gli incontri. Più si scende verso sud, più le persone aprono le porte di casa. Lui ringrazia, accetta il cibo, ma spesso preferisce dormire in giardino. Anche i bisogni quotidiani diventano una questione di adattamento: acqua, natura e nessuna complicazione.
Dopo una vita da informatico, ha scelto di lavorare a scuola come bidello, perché stare accanto ai bambini gli sembrava il modo migliore per restare vicino all’essenziale. Per loro era “quello che viene in bici”. Gli facevano domande, lo osservavano con curiosità sincera. Giorgio spera che un giorno ricordino che la vita non deve per forza essere una corsa, ma può diventare un’opera d’arte.
Quando sale in auto con gli amici, si sente fuori posto. Tutto gli appare troppo veloce, troppo distante. Il suo sogno è semplice e insieme radicale: un Paese dove anche carabinieri e polizia si muovano in bicicletta. Sarebbe, dice, un segnale di cambiamento profondo.
La sua filosofia si riassume in poche parole: libertà come modo di essere. Niente pianificazione rigida, cartine di carta al posto dei navigatori, strade sbagliate che diventano opportunità. Pedalare, sbagliare, fermarsi. E continuare.
M.P.