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Thiene. “Anch’io violentata dalle ostetriche durante il mio parto”

 Il parto dovrebbe essere uno dei momenti più emozionanti di una donna, ma non per tutte sarà ricordato come il più bello della propria vita. La violenza ostetrica il più delle volte ne è il motivo, in quanto colpisce sia a livello fisico che mentale nell’assenza generalizzata di consapevolezza e tutele. Se ne sta parlando tanto in questi giorni, con molte donne, che stanno vincendo il pudore per raccontare quello che le ha segnate per sempre. E’ il caso di sottolineare che non si deve generalizzare, il più delle volte il personale sanitario porta a termine il suo compito in modo ineccepibile. Ma come in tutte le cose ci sono delle eccezioni e quando l’eccezione si presenta in sala parto, può diventare per la neo mamma una condizione traumatizzante. Il racconto di L.B., 34 anni, thienese, descrive il caso di un abuso di professione, violenza ostetrica e la creazione di una serie di traumi psicologici che ancora oggi sono vividi nella sua memoria.

Quanti anni aveva e cosa ricorda del suo parto?

Ho partorito tre volte, e per tutte e tre le volte ho avuto un parto indotto, le prime due volte a 42 settimane, l’ultima all’ottavo mese. La prima volta avevo 23 anni, sposata da poco. Impaurita ma ansiosa di abbracciare mia figlia, ho fatto di tutto per restare calma e ricordare quello che mi avevano insegnato al corso pre parto. Ma quando si tratta di passare all’azione, soprattutto in quel momento, è difficile restare lucide tra dolori e ignoto. Sul lettino dal quale non potevo alzarmi, perché mi era stata imposta la posizione, a 7 cm, con un’epidurale che non aveva fatto effetto, chiedevo aiuto alle ostetriche. Era notte, mio marito accanto e i miei familiari in fondo al corridoio. Si sentiva solo il mio dolore. Chiesi a mio marito di andare dalle ostetriche, mi sentivo strana e il dolore era aumentato”.

Che reazione hanno avuto le ostetriche alla sua richiesta d’aiuto?

Tengo a precisare che ero l’unica partoriente quella notte. Ero stordita. Un’ostetrica, infastidita dalla mia richiesta, venne da me. Chiesi di essere controllata ma la risposta che ricevetti fu: “Tranquilla, quando ti sentiremo urlare bene sapremo che sarà il momento”. Sbigottita e stremata, sola con i miei pensieri raccolsi le mie ultime forze ma poco dopo sentii la necessità di richiamare qualcuno, ero sicura di sentire la testa anche se non avevo il coraggio di toccare.

Cosa ha deciso di fare a quel punto?

“Ho cercato di riorganizzare le idee ma  serviva un supporto medico. Allora chiesi a mio marito di tornare a chiamarle durante la loro ‘pausa caffè’, torno la stessa di prima ancora più irritata. “Ti ho detto che ti chiamo quando sento che urli nel modo giusto, ho anni di esperienza!”. “Per favore… sento la testa…” la supplicai di controllare la situazione. Appena alzò il telo esclamò: “Ok, c’è la testa! Siamo pronti”. In un attimo il mio lettino si trasformò, mi ritrovai a gambe aperte e assistetti ad una trasformazione di tre ostetriche che neanche Sailor Moon. Ero felice che da lì a poco avrei visto mia figlia, ma il tutto è stato rovinato dalla mancanza di fiducia verso il personale sanitario. Ed avevo ragione. La vista divenne offuscata, le indicazioni poco precise. Ricordo solo che mi dissero: “la bambina sale, torna indietro” e qualcuno si buttò sulla mia pancia cercando di spingere verso il basso. Forcipe alla mano, tentarono di farla uscire. “Devi collaborare se no facciamo il cesareo eh!” mi sgridò la più anziana. Tirai fuori una forza che non avrei mai immaginato di avere. Vedevo solo l’obiettivo. E poco dopo era sul mio petto, la mia piccola guerriera Aurora. Ancora contrazioni, ancora dolore con mia figlia in braccio. La placenta non usciva. Ancora dolore con le ostetriche che aprivano e tiravano. Ma io abbracciavo la mia bambina pensando: “Ormai lei è qui, facciano ciò che vogliono”.

Quanto pensa abbia intaccato questa esperienza nella sua vita e come mamma?

“Dopo la nascita della bambina in ‘rooming in’ mi hanno lasciata sola, mi hanno consigliato di dormire allattando, cosa che leggendo la cronaca dei giorni d’oggi mi fa sentire davvero fortunata. Non sono stata aiutata nell’allattamento, infatti dopo tre mesi ho abbandonato. Non so se ho avuto ‘depressione post partum’, adesso è più conosciuta, undici anni fa non lo era ma ho pianto tante volte, mi sentivo  inadatta. Ma l’amore per la mia famiglia mi ha permesso di avere altre due figlie”.

Come sono stati gli altri due parti rispetto al primo?

Da un punto di vista di supporto ostetrico è andata meglio, anche se la seconda volta non era disponibile l’anestesista quindi ho dovuto partorire senza epidurale. Penso però che sia stata la cosa migliore perché, nonostante i dolori per il parto indotto, credo di aver sentito meglio il mio corpo e credo di aver accelerato i tempi. L’ultima volta, unica volta, sono riuscita a mettermi nelle posizioni che preferivo e un ‘angelo di ostetrica’ mi ha ascoltata, ha capito che stavo per partorire nonostante le contrazioni non venissero segnate dal macchinario e così anche la terza figlia è venuta al mondo, prima del cambio dell’ora solare”.

I numeri

Quattro mamme su dieci dichiarano di aver subìto delle azioni lesive alla dignità personale.

L’ Osservatore sulla Violenza Ostetrica stima che in Italia negli ultimi 14 anni circa un milione di donne sia stata vittima di violenza ostetrica e sempre in Italia il 6% delle donne che ha subito abusi sceglie di non affrontare una seconda gravidanza. Le donne che subiscono  abusi e maltrattamenti sono: adolescenti, donne non sposate, donne in condizioni socio-economiche sfavorevoli, migranti, appartenenti a minoranze etniche o affette da HIV.

L’esperta

“La gravidanza e il parto  dovrebbero essere eventi fisiologici nella vita della donna e come tali andrebbero vissuti” spiega Monica Piccoli, dirigente medico e specialista in Ginecologia e Ostetricia. “Oggi, purtroppo, spesso non è così: assistiamo a una forte medicalizzazione delle cure ostetriche, quindi si è perso il naturale processo del parto. Una delle conseguenze è il trattamento della  donna in modo asettico. Si tratta di una condizione che accumuna spesso anche i pazienti oncologici, psichiatrici o gli anziani  ricoverati in medicina interna. È un’attitudine medica che ha portato a un approccio meccanico alla medicina. Occorre sicuramente un’inversione di rotta”.

Laura San Brunone

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