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In Uganda tumori orali devastanti uccidono i bambini che si cibano di topi

Lina, Denis, Molly e Ikomba: sono loro gli involontari e sfortunati protagonisti di storie incredibilmente drammatiche provenienti dall’Uganda. A raccontarle, attraverso le pagine del suo libro dal titolo ‘Ombre d’Africa. Il virus di Lassa e il mistero dei tumori’ (edito dalle Edizioni Magi, Gruppo Dire), è stato Marco de Feo. Il medico odontoiatra italiano lo ha fatto nel corso di una conferenza stampa a Roma.

Marco de Feo ha spiegato che dietro la comparsa, proprio in Africa e nei Paesi poveri di tutto il mondo, di tumori orali devastanti tra i bambini, che rendono deformi i loro volti e che li portano ad atroci sofferenze fino a causarne la morte, si nasconderebbe un temibile virus, il Lassa virus, ‘cugino’ dell’Ebolacontratto dopo che i piccoli si sono cibati di topi e pipistrelli, spesso crudi.
Marco de Feo, che vive e lavora a Roma, si dedica dal 1985 alle missioni in Africa e in Brasile. Durante quelle compiute in Uganda ha potuto osservare la presenza di queste neoplasie che colpiscono soprattutto giovani e adulti. Si è così trasformato in un vero e proprio ricercatore, andando alla scoperta di un virus terribile, con l’intento di salvare la vita a più bambini possibili. Nel suo libro fa conoscere all’Italia e al mondo intero la tragedia dei piccoli che, ogni giorno, si consuma in Africa e si sta adoperando con tutte le sue energie per trovare una cura.

È nell’ospedale missionario Saint Mary’s Lacor Hospital che Marco de Feo conosce Lina Lowal, descritta nel libro come ‘una bambina di 7 anni dai lineamenti delicati e dagli occhi grandi e curiosi, ma il rigonfiamento sul lato destro del suo viso la fa sembrare irreale, quasi come un personaggio dei cartoni animati‘. Lina viene operata, ‘il suo viso ora è in parte demolito e i segni della malattia sono tragicamente visibili’. Nel corso di sei anni Lina sarà sottoposta a intervento chirurgico altre sei volte fino a quando morirà, all’età di 13 anni.
La storia di Lina Lowal si intreccia con quella di Denis, ‘ragazzo di sedici anni, la testa avvolta in un sudicio telo di colore verde…il viso deformato sembra uscito da un incubo: un viso stravolto dalla deformazione che aveva interessato anche l’occhio sinistro, letteralmente schizzato fuori dall’orbitaDenis sta lottando contro una recidiva di un tumore fibro-osseo, un fibromixoma odontogeno che si è ripresentato pochi mesi dopo l’intervento chirurgico’.
Molly di anni ne ha 38 ma, come si legge nelle pagine del volume, ‘ne dimostra molti di più…I suoi pensieri sono rivolti alla sua mandibola sinistra, operata pochi mesi prima per rimuovere uno di quei misteriosi tumori, ma che ora è di nuovo gonfia nella parte destra…La donna chiede solo di essere curata prima di diventare un mostro, come accaduto la volta scorsa’.
Un terribile cambiamento è avvenuto anche nel volto di Ikomba Ndoko, 21 anni, che ‘da quasi un anno, da quando la sua mandibola e poi il suo volto hanno iniziato a deformarsi, fa la spola, inutilmente, fra strutture sanitarie pubbliche e private…Ikomba ha il volto totalmente deformato dal tumore che dalla mascella superiore è cresciuto verso l’orbita e lo zigomo. Indossa sempre il cappuccio in testa perché si vergogna della propria deformità…Dalla Tac emerge una formazione neoplastica gigantesca che ha raggiunto il cervello, il verdetto gela il sangue: Ikomba è inoperabile’. Il ragazzo chiede allora di ‘morire a casa mia, con la mia famiglia accanto a me, i miei prati, il mio giardino, con accanto i miei animali’.

DE FEO: “MI SENTO COME DON CHISCIOTTE”

Le storie di Lina, Denis, Molly e Ikomba sono le stesse di migliaia di bambini ugandesi la cui vita sembra essere segnata per sempre. ‘La mia- ha affermato Marco de Feo- può sembrare una ricerca bizzarra e forse lo è. Mi sento un po’ come Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, è una cosa davvero più grande di noi: il focus è sull’Africa Equatoriale ma in realtà questi tumori sono presenti in tutto il mondo. Molto probabilmente il virus trovato in Africa è genotipicamente diverso da quello che c’è, ad esempio, in Thailandia, nelle Filippine o in America Latina. È davvero tutto da scoprire’.
‘Stiamo camminando su Marte- ha proseguito- è una cosa nuovissima. Il prossimo passo sarà proprio la genotipizzazione, ovvero scoprire di cosa si tratta, dargli un nome perché ancora non c’è. In questo caso parliamo di futuro della ricerca che sarà domani ma sarà tra 20, 30 anni’.
‘I medici dello Spallanzani- ha poi ricordato de Feo- mi dissero ‘tu morirai di vecchiaia ma questa ricerca andrà avanti, non ne vedrai la fine perché si tratta di cose lunghissime’. Bisogna però trovare una terapia medica per poter salvare tutti questi bambini. Una terapia che può essere il vaccino o altro ma intanto abbiamo aperto una porta ed è la prima volta che ne parliamo dentro una importante istituzione come il Senato e di questo sono davvero molto contento’.

Nel corso dell’evento in Senato ha preso la parola anche Daniele Giusti, medico, segretario generale dei missionari comboniani, già segretario esecutivo per la sanità cattolica in Uganda. ‘Marco- ha ricordato- mi chiese cosa mangiassero gli africani. Gli confermai che i topi e gli insetti sono un complemento importante alla dieta in Africa quando scarseggiano grano, altri cereali e legumi. Ci sono periodi in cui non c’è da mangiare e le proteine sono quelle rappresentate dai topi. Soprattutto i bambini vanno a caccia nella savana, sono abilissimi nel trovare le tane dei topi, li catturano, li infilzano nello spiedo, li cuociono e li mangiano. Marco, allora, cominciò a parlarmi dei tumori fibro-ossei e anche dell’ipotesi, a quel tempo ancora solo ventilata, che ci potesse essere una correlazione tra l’alimentazione dei topi e la comparsa di vari virus. Lì, da infettivologo, è scattato il mio interesse professionale’.
Trovarsi davanti un paziente come Lina ma anche altri affetti da tumori poco conosciuti senza avere una prospettiva di terapia è una cosa che strappa il cuore. Guardando Marco- ha tenuto a dire- è rinata in me una grande determinazione. Adesso conosciamo il virus, conosciamo la ‘bestiaccia’ che può causare le recidive, che si presentano anche a poca distanza. Questi pazienti muoiono di inedia, perché alla fine non riescono più a mangiare o a respirare. Muoiono consumandosi poco a poco. Una morte lenta, straziante, e noi non possiamo rimanere fermi davanti a tutto questo’.

PICCINNI: “LA VERA SCOPERTA CONSISTE NELL’AVER COLLEGATO UN VIRUS A UN TUMORE ODONTOGENO”

Collegare un virus a un tumore odontogeno– ha evidenziato il direttore Uos microbiologia e virologia Irccs IDI- Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma Giuseppe Piccinni– è la vera scoperta che ci potrebbe aprire uno spiraglio per il futuro. Di virus oncogeni ce ne sono molti, basti pensare al Papilloma virus. Il problema, per quanto riguarda in particolare questi tumori odontogeni presenti in Africa, è l’aver identificato una specie virale, in questo caso il virus di Lassa, che non prende il nome dallo scopritore ma dal villaggio di Lassa, dove purtroppo persero la vita alcuni missionari, colpiti da questa infezione di cui non si sapeva nulla’.
‘Il virus di Lassa- ha poi sottolineato- fa parte della famiglia delle grandi febbri emorragiche, è un virus che appartiene alla famiglia delle cosiddette ‘Arenavirus’, è un virus a Rna che, in linea di massima, in Europa non conosciamo, per nostra fortuna. È un virus che noi addetti ai lavori definiamo zoonosi, ovvero il serbatoio naturale per questo tipo di infezione non è rappresentato dall’uomo ma da un animale, in questo caso il ratto, il pipistrello e il serpente. È un virus che non ha possibilità di essere curato se non attraverso farmaci antivirali specifici, molto difficili da trovare in Africa‘.
‘È un virus- ha proseguito- che si trasmette all’uomo attraverso il contatto di escrementi e urine di animali, in questo caso rattiL’infezione, che ha un periodo di incubazione di circa tre settimane, si può però trasmettere da uomo a uomoIl 10-12% delle infezioni non curate può portare a exitus, una percentuale che scende all’1-2% se le infezioni vengono curate. In Africa però, soprattutto nei villaggi più lontani, sperduti e difficilmente raggiungibili da presidi sanitari, mi sembra difficile avere la possibilità di terapie o il trasporto della persona infetta in una struttura controllata da un punto di vista sanitario’.
Cosa fare, dunque? Attualmente la ricerca è in corso con l’obiettivo di trovare una terapia medica che possa sostituire l’intervento chirurgico radicale, che comporta sofferenze indicibili e ulteriori deformazioni facciali nei giovani pazienti.
‘Siamo di fronte a un problema di tipo culturale– ha precisato Piccinni- gli abitanti dei villaggi non smetteranno di mangiare topi, perché per loro questo alimento è motivo di sopravvivenza. L’unica possibilità sarebbe quella, molto difficile da realizzare, di sanificare il più possibile i luoghi dove si vive in comunità, ovvero eliminare la presenza di ratti o pipistrelli nelle abitazioni, nei villaggi e nelle comunità’.
Ma la strada, anche se impervia, sembra essere stata tracciata. ‘Per il futuro- ha concluso- credo sia giusto puntare sulla vaccinazioneMa per poter arrivare a disegnare un vaccino il percorso è lunghissimo, ci vuole una pandemia come il CovidCi stiamo attivando per genotipizzare questo virus, avere dunque più informazioni dal punto di vista biomolecolare di questo virus per poter far sì che se si dovesse costruire un vaccino, questi venga costruito esattamente per quel tipo di virus. Un virus, lo ricordo, che muta e che presenta, ad esempio, le stesse difficoltà per la costruzione di un vaccino per l’epatite C, che attualmente non esiste. Bisogna, però, combattere contro un muro politico, burocratico, africano, non europeo, per far sì che determinati campioni possano essere portati qui in Europa ed essere studiati. È molto difficile perché dall’Uganda non lasciano uscire materiale biologico anche solo per studio. Ecco perché tutto questo lo dovremo fare in Africa’. Durante l’evento in Senato, moderato dalla vice caposervizio dell’agenzia di stampa Dire, Silvia Mari, è intervenuto anche Francesco Demofonti, giornalista della Dire che ha curato il testo.
Nei villaggi remoti e nelle città dimenticate dell’Uganda, questi tumori orali si insinuano silenziosamente nelle vite di giovani innocenti, lasciando dietro di sé una scia di dolore e morte. ‘Il bambino è la speranza del domani’, recita un proverbio ugandese. I bambini raccontati da Marco de Feo hanno perso il sorriso, ma oggi hanno forse la speranza di una vita migliore.