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Regionali 2020. Alleanze, opportunità e mal di pancia: le regole delle elezioni

di Andrea Nardello

Si scaldano i motori, le elezioni sono alle porte, i candidati compaiono in vetrina, i cittadini discutono sui social e le categorie economiche attendono il giorno dopo.

Come ogni tornata elettorale, il mantra si ripete e c’è chi potrebbe inventarsi veggente nell’anticipare le mosse che quotidianamente e via via sempre più intensamente, ci porteranno al giorno fatidico dell’apertura dei seggi.

Ma cosa accade dietro le quinte di un momento così alto di democrazia come l’elezione del presidente della regione e di chi rappresenterà, o meglio dovrebbe rappresentare i cittadini?

Il tutto parte da lontano, da quando in tempi non sospetti iniziano le prima manovre all’interno dei partiti per proporre i propri candidati. Prima di tutto si analizzano i risultati delle elezioni che almeno un anno prima sicuramente ci sono state, nello specifico le Europee.

Dall’analisi dei dati, iniziano le valutazioni se la convenienza è correre da soli, allearsi e nel caso con chi.

Iniziano quindi le prime azioni da riportare all’opinione pubblica dove si potrà misurare il sentore dei cittadini e quindi tarare le scelte sulla base di quanto potrà essere conveniente un’alleanza indirizzata da un lato piuttosto che dall’altro.

In tutto questo dibattito si inserisce una fetta di aspiranti candidati che appartengono alle liste civiche apparentemente senza colore, ai rappresentanti delle categorie economiche in sentore di fine mandato naturale o forzato, a chi non ha avuto lo spazio che sperava nel ruolo che ricopre in ambito politico amministrativo.

Ecco, quindi, che il dibattito sulle alleanze si sposta dalla ‘casa politica’ del singolo partito, alla ‘casa delle lobbies’ dove si decideranno le combinazioni ritenute vincenti per poter arrivare al risultato: essere eletti.

Al termine della scelta dei nomi e dei possibili ruoli, suddivisi per fasce di percentuali che potrebbero uscire dalle urne, ci si propone valutando il mal di pancia dei cittadini per proporre temi che possano essere inseriti come programma elettorale. Non è un caso che i nomi della squadra del governo regionale non venga mai anticipata.

Su questa partita un ruolo importante per l’economia del territorio lo svolgono le associazioni di categoria che, dopo aver appoggiato i pugni nel corso della legislatura che si avvia a conclusione, improvvisamente diventano silenti o al massimo, propositivi su macroaree che dicono tutto e niente ma che possono apparire come una bozza di programma nel caso in cui ci sia l’ipotesi di una discesa in campo di qualche dirigente in scadenza. Il tutto fino al giorno dopo, quando a spoglio avvenuto le dichiarazioni andranno nella direzione di invitare il vincitore ad ascoltare e a mettere in agenda ciò che non è stato detto in precedenza.

La Politica, quella alta, dovrebbe avere un percorso diverso dove, partendo da un programma definito con azioni ben strutturate, chi decide di mettersi in gioco ricerca persone capaci e disposte a mettersi a disposizione per attuarlo. Da qui la ricerca di classe dirigente di alto livello che in Veneto non manca.

La si può trovare all’interno del mondo delle categorie economiche, del mondo della scuola, della sanità, del mondo del lavoro e del volontariato.

La scelta dei candidati non dovrebbe essere solamente fra i tesserati o fra gli indipendenti di comodo, ma fra le competenze di chi nel quotidiano ottiene risultati eccellenti e si scontra con le problematiche comuni.

Certo ci vuole una guida politica, ma che non sia succube della paura di non avere salvagenti per restare a galla, ma che abbia la capacità di saper nuotare anche con il mare in burrasca.

Le prove di forza fanno male ai cittadini che si dovrebbero rappresentare, considerando che esiste una buona parte di elettorato che attende proposte concrete che al momento nessuno sta mettendo sul tavolo.

Sembra più la resa dei conti fra fazioni di partiti, maggioranza e minoranza.

La Lega è probabile che presenti tre liste perché si deve capire se tiene la linea di Zaia o di Salvini, Fratelli d’Italia si presenta unita come simbolo ma con candidati divisi fra Berlato e Donazzan e chi avrà più voti probabilmente avrà, dalla leader Giorgia Meloni, l’incoronazione a rappresentare FdI in Veneto. Forza Italia che da partito che aveva in Galan il potere, si ritrova con un ruolo secondario in una coalizione che non è sancita in Regione ma che con la popolarità di Zaia acquisita negli ultimi mesi, tutti reclamano con il timore di rimanere fuori.

Il PD è in lotta aperta con Italia Viva per poter decidere in un prossimo futuro i dettagli di una legge elettorale che permetta di rimanere in sella. Il M5S, nella confusione del momento, si presenta da solo sapendo in partenza che l’aspirazione prima è di uscire con un risultato che verrà sicuramente sancito come positivo. Ci sono poi gli indipendentisti veneti che, forti della mancata attuazione dell’autonomia, rilanciano con la volontà di portare l’indipendenza in una regione che, proprio con quanto la politica sta dimostrando, non riuscirà mai ad essere unita per poter contare di più.

Dividi et impera diceva Filippo II di Macedonia, noi veneti anche su questo dimostriamo di avere una marcia in più, facciamo da soli: “ci dividiamo e ci facciamo imperare”.

Andrea Nardello