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Legambiente: ‘Temperatura in crescita, sci a rischio estinzione’

Nella gran parte delle nostre montagne e’ atteso, rispetto a ora, un aumento di temperatura tra i 2 e i 3°C per il 2050, ed entro fine secolo un ulteriore riscalda­mento che va dai 3 ai 7°C in funzione degli scenari di emissione di gas a ef­fetto serra considerati. È questo il ragionamento che fa da filo conduttore al dossier Nevediversa 2021 di Legambiente, che racconta conflitti, discordanze e preoccupazioni, ma anche buone pratiche e nuove speranze del turismo invernale in Italia. Partendo da alcune premesse, numeriche e scientifiche, innanzitutto sul mutamento climatico. Le previsioni di sciabilita’ nei comprensori alpini descrivono una situa­zione piuttosto preoccupante su tutto l’arco alpino, con comprensori dove ne­gli scenari peggiori la pratica dello sci risulterebbe in estinzione a fine secolo. Emblematico il dato di sintesi Eurac che stigmatizza come con un aumento di temperatura di piu’ di 4C° la percen­tuale degli impianti accessibili si riduce al 12%. Con il Recovery Fund e il Superbonus 110% anche in montagna circoleranno molte risorse e si apriranno rilevanti possibilita’ economiche per il mondo dell’imprenditoria, in un settore che ha particolarmente risentito della pandemia. Sebbene attualmente le condizioni del turismo invernale siano drammatiche, la situazione che si e’ venuta a creare potrebbe costituire un’opportunita’ per un ripensamento complessivo dell’offerta, con strategie innovative che inneschino percorsi di rinaturalizzazione di ambienti fortemente artificializzati e recuperino un rapporto piu’ equilibrato con l’ambiente. Ripensamento tanto piu’ necessario, perche’ la temperatura continua a crescere nonostante l’impressione del freddo data dalle nevicate eccezionali di questo inverno.

Con l’edizione 2021 di Nevediversa – dichiara Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente – vogliamo riportare l’attenzione sullo stato di salute dell’industria dello sci alpino e sugli ingenti costi ambientali e economici sostenuti per contrastare, secondo noi in modo sbagliato, gli effetti del cambiamento climatico, a cui si sommano gli effetti della stagnazione di un mercato maturo, con presenze in lieve, ma costante riduzione, sintomatiche di una crisi destinata a diventare irreversibile. Next Generation EU puo’ rappresentare l’occasione giusta per attrezzare il Paese al cambiamento e affermare cosi’ un nuovo profilo anche nel mondo del turismo. Ma non con un’operazione di cosmesi sostenibile sull’esistente, piuttosto ridisegnando una strategia adeguata alle nuove domande di turismo e agli effetti sempre piu’ pesanti dei cambiamenti climatici”. La Linea di Affidabilita’ della Neve (LAN), cioe’ l’altitudine che garantisce spessore e durata sufficienti dell’innevamento stagionale, sta risalendo con un ritmo vertiginoso. Essa stabilisce che il normale svolgimento di una stagione sciistica e’ possibile se vi e’ una copertura nevosa garantita di almeno 30 cm, per minimo 100 giorni. Dagli studi condotti nelle regioni alpine europee si stima che la LAN potrebbe elevarsi di 150 m per ogni °C di aumento della temperatura: cio’ significa che con un aumento di temperatura di 5 gradi ci sara’ una risalita di 750m, passando dai 1500m di media stimati nel 2006 a come minimo 2250m di altitudine. Due anni fa, un pool di ricercatori ha analizzato le prospettive climatiche degli impianti sciistici che fino ad oggi hanno ospitato una o piu’ edizioni delle Olimpiadi invernali. In uno scenario ottimistico soltanto 13 dei 21 impianti osservati sarebbero in grado di ripetere l’esperienza nel 2050, mentre gli altri 8 dovrebbero chiudere per mancanza di neve. Nell’ipotesi peggiore, proseguono i ricercatori, gli impianti disponibili entro la meta’ del secolo si ridurrebbero a 10 per scendere a 8 nel 2080.

Allargando lo sguardo, il documento dell’IPCC “Relazione speciale sull’oceano e la criosfera in un clima che cambia”, prevede che alla fine del secolo (2081-2100), l’affidabilita’ della neve sara’ insostenibile per la maggior parte stazioni sciistiche in Nord America, nelle Alpi e Pirenei europei, Scandinavia e Giappone, con alcune eccezioni ad alta quota o ad alte latitudini. Tornando in Italia, si stima che allo sci da discesa siano legati 400mila posti di lavoro, tra quelli diretti e quelli dell’indotto e il fatturato e’ tra i 10 e 12 miliardi di euro. Cifre che danno l’idea della grave perdita economica e sociale subita nella stagione invernale 20-21, a causa della pandemia e della chiusura degli impianti. Ma va detto che la crisi non e’ di quest’anno. I costi legati alla necessita’ dell’innevamento programmato sono in crescita: si stima una spesa annua di 100 milioni di euro, per imbiancare tutte le piste italiane. Gia’ nel 2012, in base allo studio realizzato da Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, delle 60 societa’ partecipate che gestivano all’epoca gli impianti di risalita, la maggioranza era in perdita, per un buco totale di 16 milioni di euro.

Sul fronte delle presenze turistiche, al di la’ delle difficolta’ nelle valutazioni che si possono fare su un’annata anomala come quella che stiamo vivendo, si puo’ osservare che il numero degli utenti delle piste (sci alpino, snowboard, freestyle) e’ pressoche’ stabile se non addirittura in leggero calo. Le previsioni Skipass 2020-21, prodotte a ottobre 2020 prima dell’inizio della seconda ondata di pandemia, segnalavano una flessione rispetto a 2019-20 dell’8,7% per lo sci alpino, dell’11,10% per lo snowboard mentre si osservava una crescita leggera per lo sci di fondo pari al 2,20%, e molto accentuata per le ciaspole con un 28, 90% in piu’, a conferma del trend degli ultimi anni. Il dossier presenta una mappatura dei comprensori sciistici con numeri e chilometri delle piste. Abbiamo, complessivamente, sulle montagne italiane, 6.700 km di piste e 1.500 impianti, numeri che descrivono un sistema gia’ molto sviluppato e organizzato, capace di rispondere alle attuali esigenze degli sciatori e in alcuni casi sovradimensionato e bisognoso di sostegno, come dimostrano i dati raccolti nel dossier.

Anche lungo la catena appenninica, dove i comprensori sciistici censiti sono circa 70 e dispongono di 268 impianti di risalita al servizio di oltre 700 km di piste per lo sci da discesa, c’e’ chi ritiene che per alimentare l’offerta del circo bianco questi numeri vadano ulteriormente incrementati e si continua a produrre progetti e a promettere risorse pubbliche per fa­vorire sugli Appennini turismo invernale tradizionale improntato allo sci da discesa, nonostante siano evidenti contraddizioni e limiti di queste proposte. Va detto, infatti, che realizzare sugli Appennini nuove infrastrutture per lo sci da discesa con impianti di risalita con arroccamenti a quote sempre piu’ elevate, e bacini idrici in alta quota per l’innevamento artificiale, e’ in netta con­traddizione con la biodiversita’ e la tutela degli ecosistemi.

In Italia, dunque, gli impianti di risalita e le piste da sci non mancano, ma dal Terminillo in Lazio al Devero in Piemonte, dalle Cime Bianche in Valle d’Aosta alla Valtellina in Lombardia e al Comelico in Veneto, cresce la quantita’ di progetti per realizzare ancora nuove infrastrutture, a scapito di aree naturali. L’obiettivo e’ creare comprensori sciistici sempre piu’ grandi, e la logica dell’ampliamento dei comprensori si accosta a quella dei grandi eventi sportivi: appena terminati i Mondiali di sci alpino a Cortina, l’orizzonte e’ quello delle Olimpiadi 2026. A questo impattante modello di sviluppo, in alcuni casi riproposto con caparbieta’, si contrappone o si intreccia con sempre maggior peso il mondo del turismo dolce invernale. Nevediversa 2021 presenta diversi progetti che, se curati e inseriti in una progettazione piu’ strutturata, potrebbero permettere di affrontare con buona determinazione la transizione verso forme nuove e sostenibili di turismo montano, invernale e non, di alta e bassa quota. Progetti utili a invertire la tendenza allo spopolamento delle aree interne, scaturiti per la maggior parte dagli operatori del territorio, non di rado in controtendenza con le amministrazioni.