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Contributo perequativo: meglio evitare l’esca avvelenata

Nessuno sceglie un male, riconoscendolo come male; ma allettato da esso perché sembra un bene, egli cade in trappola. Non conosceva questo Governo, Epicuro, ma era un vecchio saggio e diffidava dai pericoli.

Scade il 28 dicembre prossimo il termine per la presentazione dell’istanza per ricevere il contributo perequativo. Il decreto MEF del 12 novembre 2021, infatti, dopo una lunga gestazione, ha definito le regole di erogazione del nuovo contributo. l beneficio spetta a tutti gli operatori economici con fatturato sotto i dieci milioni di euro, che hanno registrato nel 2020 un peggioramento del risultato economico, rispetto al 2019, in misura pari o superiore al 30%, e che hanno “voluto” anticipare la comunicazione dei propri redditi al 30 settembre.

Il contributo viene quindi determinato applicando al calo dichiarato una percentuale differenziata a scaglioni a seconda dell’ammontare dei ricavi 2019, che va dal 30%, per le aziende con fatturato fino a 100.000, fino al 5% per le aziende con fatturato sopra i 5 milioni. Prima di effettuare il calcolo percentuale, tuttavia, dalla differenza tra i due risultati economici devono essere sottratti tutti i contributi a fondo perduto COVID-19 percepiti nel corso della pandemia.

Nasce così una machiavellica dichiarazione da presentare entro il 28 dicembre lunga sette pagine, contenente – oltre all’unica pagina ove si comunicano i dati anagrafici, l’IBAN e i quattro dati contabili e dichiarativi che dimostrano di avere diritto al beneficio, due pagine zeppe di dichiarazioni sostitutive di atto notorio, che constano di ben 19 autocertificazioni destinate ad attestare il rispetto dei requisiti e dei limiti posti dall’Unione europea nel cosiddetto “Temporary Framework”. Dopo di che altre due pagine per esporre tutti gli ulteriori aiuti percepiti, dovendo certificare gli ammontari percepiti in mezzo alle trenta tipologie di aiuti covid richiamati in dichiarazione.

Come si era capito fin da subito, nessuna regalia, ma una vera e propria trappola. Infatti, come avevamo ampiamente previsto e segnalato su questo giornale, ampissimo spazio viene dato ai potenziali e previsti controlli.

Come si può leggere nel vademecum dell’agenzia delle entrate, gli uffici procederanno al controllo dei dati dichiarati nelle istanze pervenute “applicando le disposizioni in materia di accertamento sulle dichiarazioni (articoli 31 e seguenti del Dpr n. 600/1973) ed effettua ulteriori controlli anche in relazione ai dati fiscali delle fatture elettroniche e dei corrispettivi telematici, ai dati delle comunicazioni di liquidazione periodica Iva, nonché ai dati delle dichiarazioni Iva e Redditi.”. Ergo: aspettatevi una vera e propria verifica fiscale!

L’Agenzia delle entrate, inoltre, trasmette anche alla Guardia di Finanza, per le attività di polizia economico-finanziaria, i dati e le informazioni contenute nelle istanze pervenute e relative ai contributi erogati.

Oltre alle sanzione amministrative dal 100% al 200% del contributo, senza possibilità di definizione agevolata, è prevista anche l’applicazione della pena prevista dall’articolo 316-ter del Codice penale in materia di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, che prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni o, nel caso di contributo erogato di importo inferiore a 4.000 euro, una ulteriore sanzione amministrativa da 5.164 euro a 25.822 euro, con un massimo di tre volte il contributo indebitamente percepito, con possibilità di confisca per equivalente ai sensi dell’articolo 322-ter del Codice penale.

I criteri di valutazione da cui discende il risultato economico dell’esercizio, ovvero l’imponibile su cui calcoliamo le nostre tasse, dipende da molte poste valutate soggettivamente, che lasciano ampi spazi alle contestazioni degli uffici ed alle diverse ipotesi valutative degli ispettori che effettueranno gli accertamenti.

Basterà il semplice disconoscimento di un costo, l’adozione di una diversa metodologia valutativa del magazzino, la mancanza di un inventario, una diversa percentuale di ammortamento, a far variare le i risultati e facilmente determinare la perdita del contributo già ricevuto, con annessi interessi e sanzioni.

La verifica, tra l’altro, che interesserà almeno le due annualità prese a riferimento per il confronto, ovvero il 2019 e il 2020, comporterà naturalmente anche la rideterminazione delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA, il tutto condito da ulteriori interessi e sanzioni.

Travestito da pecora il lupo non inganna, ma fa ancora più paura.

Ad maiora!

F.C.