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Decreto rilancio: imprese alla ricerca del fondo perduto

di Fabrizio Carta

L’erogazione del contributo a fondo perduto previsto dal Decreto rilancio, uno dei provvedimenti più attesi e chiesti a gran voce da tutte le aziende, pare sia già in rampa di lancio, e si prevede coinvolgerà circa il 60% delle partite iva, esclusi i professionisti. A questo fine è stato stanziato un apposito fondo di 6,19 miliardi di euro.

Come sempre, quello che ci proponiamo è di fare chiarezza sui contenuti fattuali del decreto, depurandoli da quelli propagandistici della politica, argomento di cui non abbiamo né tempo né voglia di occuparci.

Facciamo questa premessa perché in questi giorni si è diffusa, come sempre più spesso ultimamente accade, molta informazione non corretta proveniente proprio dagli ambienti della politica.

Sul tema del contributo a fondo perduto, Vito Crimi, capo politico ad interim del M5S, qualche giorno fa ad Uno Mattina ha dichiarato che le erogazioni verranno effettuate automaticamente dall’agenzia delle entrate senza bisogno di inoltrare domande, sulla base dei criteri previsti dal decreto ma senza bisogno di decreti attuativi, mettendo in pratica in questo modo delle “modalità innovative” assolutamente rivoluzionarie rispetto a quanto fatto in precedenza da tutti i passati governi.

La dichiarazione, sicuramente fuorviante per le imprese, si scontra non con la nostra opinione politica o di semplice cittadini, bensì con i contenuti dell’articolo 25 del Decreto, che detta le condizioni di accesso al beneficio, disponendo al comma 8 una procedura di richiesta assolutamente diversa da quella asserita dall’onorevole Vito Crimi.

Per cui, finché nelle fonti di cognizione del diritto la legge si troverà prima delle dichiarazioni su UnoMattina di Vito Crimi, sarà opportuno per tutti attenersi a quella, che adesso se pur in breve descriveremo.

Dal punto di vista dei soggetti beneficiari, il contributo a fondo perduto spetta a tutti i titolari di partita IVA che esercitino attività di impresa e di lavoro autonomo, e che nel corso del 2019 abbiano conseguito ricavi o compensi fino a 5 milioni di euro.

Rimangono esclusi tutti i liberi professionisti titolari di partita IVA, sia ordinistici che iscritti alla Gestione separata INPS, i lavoratori dello spettacolo, ed i lavoratori dipendenti, oltre naturalmente ad enti pubblici ed intermediari finanziari.

Il contributo a fondo perduto spetta a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi di aprile 2020 sia inferiore ai 2/3 di quello di aprile 2019.

Qui si incontra il primo ostacolo. Infatti, non si dovrà guardare alla data di emissione della fattura ma al momento di effettuazione dell’operazione ai fini iva, il che significa che per le fatture differite dovremo fare attenzione alla data del documento di trasporto o dei documenti equipollenti richiamati in fattura. L’accesso è invece incondizionato per chi ha aperto la partita iva dopo il primo gennaio 2019.

L’ammontare del contributo viene stabilito in base alla differenza tra il fatturato e i corrispettivi del mese di aprile 2020 ed il corrispondente valore di aprile 2019, e ristorato per fasce dimensionali,

ovvero verrà corrisposto: il 20% in presenza di ricavi complessivi nel 2019 fino a 400.000 euro, 15% in caso di ricavi nel 2019 compresi tra 400.000 euro ed un milione, ed il 10% della differenza per chi ha registrato ricavi tra uno e cinque milioni. È comunque prevista un’erogazione minima pari a mille euro per le persone fisiche e duemila per gli enti diversi dalle persone fisiche.

Il contributo non è tassabile né ai fini delle imposte sui redditi che ai fini Irap. Ai fini civilistici costituirà invece un contributo in conto esercizio, e comparirà nel punto A5 del bilancio, dando un piccolo sostegno anche al valore della produzione che sarà attestata dal bilancio stesso.

Per richiedere ed ottenere il contributo a fondo perduto, checché ne dica Crimi, bisognerà però attendere il provvedimento dell’agenzia entrate che disporrà in merito ai contenuti dell’istanza ed alle procedure operative per la gestione delle domande, che dovrà essere emanato entro giugno. Lo stesso ente sta predisponendo la piattaforma tecnologica su cui dovranno transitare obbligatoriamente le domande. Le imprese avranno poi a disposizione 60 giorni di tempo per inoltrare la propria.

Bisogna osservare che creare ostacoli burocratici non aiuta di certo le aziende, che di quei soldi hanno più che mai bisogno ora che registrano il picco della crisi di liquidità, e non fra due o tre mesi, quando per qualcuno potrà essere ormai troppo tardi.

L’istanza avrà valore di autocertificazione, e dovrà contenere anche un’attestazione di regolarità antimafia.

La domanda potrà essere inviata solo ed esclusivamente tramite canali telematici, in proprio o attraverso un intermediario. Anche qui dobbiamo dire che ingolfare gli studi commercialistici e consulenziali nel momento peggiore dell’anno, ricordiamo che entro il 30 giugno vanno approvati i bilanci e versate le imposte sui redditi del 2019, non credo sia stata una buona idea, specie dopo averli esclusi dal beneficio. Cornuti e mazziati!

Dopo l’inoltro dell’istanza l’Agenzia delle entrate effettuerà alcuni controlli esclusivamente formali sulla correttezza dei dati indicati, così da poter procedere in modo – speriamo molto celere – all’accredito sull’Iban fornito nell’istanza, dandone comunicazione con cadenza settimanale al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

Passiamo adesso alle dolenti note: ai controlli formali succederanno i controlli sostanziali dell’agenzia delle entrate, che avrà ben otto anni di tempo per effettuarli, salvi i più ampi termini previsti dalle leggi penali. In questo senso sono stati rafforzati i poteri e compiti di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria, per evitare un utilizzo fraudolento delle disposizioni di emergenza.

Oltre al recupero integrale della somma indebitamente percetta, le sanzioni previste vanno dal 100 al 200% di tale importo, senza possibilità di definizione agevolata.

Nei casi più gravi, ove venissero rilevate false attestazioni nell’autocertificazione, scatterebbero le sanzioni penali della reclusione da 6 mesi a 3 anni, per violazione dell’articolo 316-ter del codice penale, che punisce l’indebita percezione di contributi e finanziamenti da parte dello Stato.

Come abbiamo avuto modo di vedere, le condizioni di accesso al contributo a fondo perduto esistono, e sono anche abbastanza puntuali e stringenti, e non c’è nessun “automatismo” per la sua erogazione a favore dei beneficiari, né tantomeno esistono strumenti tecnici che possano far

acquisire all’agenzia delle entrate dati di cui non è in possesso per calcolare autonomamente il contributo, come ad esempio il documento di trasporto per verificare il momento di effettuazione dell’operazione ai fini iva.

Tuttavia, su una cosa non possiamo che essere d’accordo con Vito Crimi, e cioè che propagandare una disposizione sui vari social e a mezzo stampa, per poi implementarne per legge una completamente diversa, è stata una vera e grande innovazione di questa legislazione rispetto al passato!

Ad maiora!