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Thiene. Lo chef dal cappello di paglia:’ Sembra essere nel far west, abbandonati dallo Stato’

“Abbandonati dallo Stato, portiamo avanti un sogno. Combattiamo la nostra battaglia nell’incertezza delle regole. Nessuno ci aiuta, ogni giorno riaprire è una conquista.”.

Sono queste le parole dello chef dal cappello di paglia, Demis Costa, titolare dello storico ristorante Leon D’oro, divenuto nel corso degli anni uno dei simboli di Thiene.

Parole di sconforto, per i dubbi e le difficoltà di un settore tra quelli più colpiti dalla crisi, ma anche di lotta e di speranza, di rinascita e di ripartenza, tra le maglie delle problematicità di quello che verrà ricordato come l’annus horribilis della ristorazione.

Dopo quasi dodici mesi di restrizioni, Demis Costa comincia a sentire il peso e la stanchezza di questa situazione. “Adesso il periodo delle restrizioni comincia ad essere veramente lungo. Quello che doveva essere un periodo transitorio, breve, di contenimento della pandemia per una nuova ripartenza, è diventato un lungo tunnel da cui non si vede ancora l’uscita”, dice Demis.

Lo chef dal cappello di paglia ha iniziato ad allietare le serate thienesi con i suoi piatti e le sue pizze nel 1998. Poco prima che arrivasse la pandemia aveva rilevato le quote del suo storico socio Rugero. Diventato l’unico proprietario del suo ristorante lo aveva voluto riprogettare a sua immagine e somiglianza, portando avanti un’importante opera di ammodernamento dei locali, sostenendo importanti investimenti. Un grande sogno che la pandemia sta mettendo a forte rischio.

“Prima della pandemia l’attività ha sempre funzionato bene. Quando Rugero è andato in pensione ho pensato di rilevare le sue quote e gestire tutto da solo. È stato un grosso investimento ed ho anche venduto una seconda casa che avevo acquistato con i risparmi di venti anni di duro lavoro”, dice Demis, “Tutto quello che possiedo oggi è frutto di anni di sacrifici, miei e della mia famiglia, e certamente non voglio mollare adesso. Ma lo stato ci ha abbandonati.”.

“I fantomatici ristori, in relazione al mio fatturato, sono una percentuale irrisoria, da ridere se non ci fosse invece da piangere. Ogni mese, chiuso o aperto, devo far fronte al pagamento di affitti, delle bollette di acqua luce e gas, le rate dei mutui, i fornitori, le assicurazioni, e tante altre spese ancora. Poi ci sono i miei dipendenti. Qua dentro siamo come una grande famiglia, e non voglio che a pagare siano loro, per cui anche a costo di rimetterci ho sempre fatto di tutto per non fare mancare niente a nessuno dei miei ragazzi. Lo stato ci ha mandato una piccola percentuale del calo registrato nel mese di aprile della scorsa primavera. Il calo di un mese! Che sostegno ridicolo può essere? Quello che è arrivato non copre nemmeno i costi fissi di quindici giorni. La cassa integrazione è arrivata in ritardissimo, così come gli stessi ristori. Nel frattempo noi con le nostre sole forze abbiamo dovuto sostenere ulteriori spese per la sanificazione ed il riattrezzaggio dei locali in vista dell’agognata riapertura, che poi è stata brevissima, visto che in autunno ci hanno subito richiusi.”.

“Una cosa che abbiamo tanto sofferto è stata la mancanza di regole. Sembriamo nel far west, un giorno c’è una regola, vai a letto e l’indomani la trovi cambiata. Vivere e lavorare nell’incertezza è una cosa terribile.”

“Per far fronte alla crisi abbiamo dovuto ripensare l’intero nostro modo di vivere la ristorazione. Ci siamo immediatamente mossi in direzione del delivery e dell’asporto. Abbiamo dovuto reinventarci in un lampo un nuovo menu e tutta una serie di accorgimenti per fare in modo che i nostri clienti, anche a casa, potessero apprezzare la nostra cucina ed i nostri prodotti. Noi abbiamo sempre

puntato sulla qualità, i nostri clienti ci conoscono e ci apprezzano per questo, e non volevamo cucinare piatti che mangiati qualche minuto dopo la loro preparazione potessero vederne pregiudicata la qualità. Abbiamo creato nuove linee di prodotti cotti e crudi, dai panini alle piadine, da affiancare ai tradizionali piatti per cui i nostri clienti da sempre ci conoscono e ci apprezzano, pizze, paella, e tante altre prelibatezze, cucinate con i migliori prodotti reperibili sul mercato.”.

“Delivery ed asporto sono linee che ci hanno permesso di andare avanti, ma purtroppo consentono a malapena di coprire le spese, sono solo un palliativo. Già adesso la situazione è insostenibile. Come nel far west, ogni vendita ci appare come una conquista. La mancanza del servizio al tavolo, poi, è molto complessa e difficile anche da vivere, per chi come noi è abituato a stare in mezzo alla gente.”.

“Una delle cose che ci ha fatto più male è stata quella di essere sempre additati come degli untori. Ma il virus non si diffonde nei ristoranti e nei bar! O almeno, non più di tanti altri luoghi. Noi abbiamo adottato fin da subito tutte le necessarie precauzioni sanitarie, a volte ci sembra di essere in un ospedale, tante sono le cautele che utilizziamo, ma nonostante questi nostri sacrifici siamo sempre e comunque penalizzati. Quante volte vediamo immagini di assembramenti nei bus, nelle metro, alle poste ed in altri uffici, se non addirittura nello stesso Parlamento! Per me è una vergogna tutto quello che sta succedendo. Peraltro, anche se ci riaprissero, con il clima di paura che hanno creato non so quanto tempo dovrà passare prima che si ritorni alla normalità.”. “Per protesta ho appeso al chiodo il mio cappello di paglia – scherza Demis – ne indosserò presto uno da cowboy.”.

Di fatto, in una nota è stata la stessa Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe) a denunciare il crollo dei consumi fuori casa. Dopo i vari lockdown, secondo le indagini statistiche commissionate dalla Fipe, l’affluenza nei locali si è ridotta della mostruosa percentuale del 70%, con una grave ripercussione su tutta la filiera del food & beverage, e perdite intorno ai dieci miliardi di euro, mentre addirittura viene stimata in 38 miliardi la perdita di fatturato del settore della attività di ristorazione.

Anche Demis concorda con quanto dichiarato dalla Fipe. “Non penso assolutamente che le nostre attività, se pur piccole, possano essere definite non essenziali. Diamo lavoro non solo ai nostri ragazzi, ma siamo lo sbocco di intere filiere e deve esserci riconosciuto il rispetto che in questo periodo ci è stato negato.”.

La Fipe a questo proposito ha voluto sensibilizzare il Ministro Patuanelli, il quale ha dichiarato di avere già richiesto al Ministro della sanità ed al Comitato tecnico scientifico di aprire un tavolo di confronto. Ma Demis, appena sente parlare di tavoli ha voluto subito precisare: “Ditemi quanti sono, che faccio apparecchiare!”. Eh va be’, sappiamo anche che nessuno potrà mai rubare l’allegria al nostro chef dal cappello di paglia.

Fabrizio Carta